Che fine ha fatto la sinistra? È più che legittimo porsi questa domanda. Da quando si è insediato il nuovo esecutivo di destra guidato da Meloni, infatti, i partiti che dovrebbero rappresentare quell’area politica o sono spariti dai radar, salvo effimere e timide proteste all’azione del governo (il Partito Democratico), o sono stati investiti da scandali che ne hanno minato la credibilità: è il caso dell’Alleanza Verdi e Sinistra e delle vicende che riguardano la famiglia dell’onorevole Soumahoro – che non è indagato, ma la cui credibilità ne esce comunque minata – e del recentissimo “Qatargate”, in cui sarebbero coinvolti l’ex europarlamentare del Partito Democratico Antonio Panzeri e una cerchia di suoi sodali, sempre legati al Pd.
Di fatto, i temi che dovrebbero essere centrali per la sinistra (ambientalismo, lavoro, tutela dei più poveri, uguaglianza e diritti) sono stati abbandonati, lasciati a disposizione di chi sta provando a cambiare pelle a un partito, il Movimento Cinque Stelle, che è nato come antisistema, ma che, invece, ha dimostrato di tenerci eccome, al “sistema”.
La corsa alla segreteria del Partito Democratico
Il Partito Democratico, in questi tre mesi, è stato troppo impegnato a pensare al proprio futuro politico prossimo per gettarsi con decisione nell’agone politico. Eppure, le occasioni sono state – e continuano a essere – tante, e ghiotte, per riprendersi elettori proprio tra quelle categorie che tradizionalmente i partiti di sinistra rappresentano. Le norme su Pos, tetto al contante, reddito di cittadinanza, pensioni e costo del lavoro, il condono, l’azione di governo in materia di immigrazione, il decreto “anti-rave”: sono tutti temi identitari, e dunque divisivi, su cui è facile che, nella società, si creino polarizzazioni ideologiche – destra liberticida e sinistra libertaria; destra anti-immigrazione e sinistra umanitaria, destra elitaria e sinistra a favore delle classi più povere, e via dicendo.
La voce del Pd, invece, è stata per lo più muta sui temi politici. Si è sentita solo per certificare la disfatta all’indomani delle elezioni e annunciare un prossimo congresso, poi per la diatriba sui candidati alla segreteria. I nomi forti, oggi, sono quelli di Stefano Bonaccini, politico di lunghissimo corso (la sua carriera politica è iniziata nell’ancora Partito comunista italiano) e presidente dell’Emilia-Romagna dal 2014, e della sua ex vicepresidente, Elly Schlein, che in questa corsa rappresenta il nuovo che avanza: straniera (Schlein è svizzera), omosessuale, movimentista, ambientalista, fino a pochi giorni fa non era nemmeno iscritta al partito che intende rappresentare e rinnovare.
Chi rappresenta gli strati medio-bassi della società?
Fin troppo impegnati nel dibattito – del tutto autoreferenziale – sulla futura segreteria del partito, i membri della classe dirigente del Partito Democratico sembra abbiano dimenticato che, mentre discutono sui “nomi” all’interno della loro sede, al di fuori ci sono centinaia di migliaia di persone disorientate, che sono rimaste senza punti di riferimento politici o che si sono lasciati ammaliare da tentazioni populiste e/o sovraniste.
Oggi, infatti, sembra essere il Movimento Cinque Stelle il partito che si è preso la responsabilità di rappresentare gli stati più svantaggiati della società. Difende la sua misura principe, il reddito di cittadinanza, ma ha anche criticato apertamente la manovra finanziaria, definita da Giuseppe Conte «misera», «votata alle politiche dell’austerity», «senza visione e senza attenzione per le fasce più in sofferenza». E ha proposto l’introduzione del salario minimo, che è stato però bocciato dal governo in carica.
Insomma, se c’è un partito che oggi sta “facendo la sinistra” è proprio il Movimento Cinque Stelle, lo stesso che aveva iniziato la sua ascesa governando con la Lega di Salvini. E che è guidato dal leader che ha firmato i Decreti Sicurezza. Sono proprio questi gli argomenti che pesano sulla credibilità dei pentastellati: le molte capriole politiche fatte dal partito, infatti, fanno pensare che il suo interesse, più che esprimere una visione del mondo e raccogliere attorno a essa chi ci crede, sia di raccogliere voti per restare nel “sistema” che intendevano smantellare solo una decina di anni fa – un tempo infinitamente lungo, in politica.
Cosa manca alla vision di un vero partito di sinistra
Spazi di manovra, per un partito di vera sinistra, ce ne sono molti, dunque. Il Partito Democratico dovrebbe distogliere l’attenzione dall’ossessione del “nome” del futuro segretario, alzare gli occhi e tornare a guardarsi intorno, ad osservare la società e intercettare il disagio diffuso per farsene il portavoce nelle stanze del potere.
Potrebbe provare, ad esempio, a tornare nei luoghi fisici del lavoro – le fabbriche, i ristoranti, i cantieri, i supermercati – e ascoltare i lavoratori. Troverebbe situazioni insostenibili: lavoratori a nero, con paghe da fame, senza straordinari e festivi pagati, con orari di lavoro bel al di là di quelli pattuiti dalla contrattazione collettiva. Sono tanti gli esempi che si trovano nei post pubblicati sulla pagina Instagram del partito di Civati, Possibile, e che dimostrano che non è vero i giovani italiani non hanno voglia di lavorare, ma che l’Italia non è un Paese per giovani.
Potrebbe provare ad andare nelle periferie e ascoltare i suoi abitanti, che si trovano spesso a vivere in situazioni di forte disagio e di marginalità. Luoghi che da tempo sono stati abbandonati alla propaganda delle destre, che hanno addossato tutti i problemi all’immigrazione e creato un discorso politico che ha fatto presa – certificato dal successo elettorale del Centro-destra nelle periferie.
Potrebbe cercare di intraprendere una politica migratoria chiara, umanitaria, fondata sull’accoglienza, trasparente, smontando le bugie che su questo tema sono state create per spaventare e giustificare i respingimenti, le discriminazioni, il rifiuto all’integrazione.
Potrebbe combattere con intransigenza l’evasione fiscale.
Potrebbe impegnarsi con decisione e incisività nella salvaguardia dell’ambiente, nella trasformazione di un sistema economico ancora troppo legato a fonti energetiche inquinanti e dannose, nella promozione di forme di mobilità sostenibili, dal punto di vista economico e ambientale.
Potrebbe perseguire un modello di governo egualitario sulle politiche di genere: in cui, cioè, non sia lo Stato a decidere quale posizione la donna debba occupare nella società, nel mondo lavorativo, all’interno della famiglia, e in cui non siano gli aiuti economici a condizionarne le scelte sul proprio corpo e sulla natalità.
Potrebbe, insomma, proporre una visione del mondo ben definita attorno alla quale le persone possano aggregarsi. E, soprattutto, dovrebbe riacquistare credibilità con le proprie azioni. Perché troppo spesso, negli ultimi anni, pur di restare al governo, il Partito Democratico ha preso scelte sbagliate, è scesa a compromessi, ha deluso il proprio elettorato e perso la sua fiducia.
Il momento è più che propizio. Dopo aver toccato il fondo, il Partito Democratico ha un’occasione importante per rinnovarsi, elaborare una nuova vision e darsi una nuova mission. Solo così, forse, potrà uscire dalla crisi in cui versa da troppi anni e tornare a essere il partito di riferimento dell’elettorato di sinistra in Italia.