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Diritti negati, volume secondo. Il fallimento di uno Stato assente: i NEET

L’Italia è il quarto Paese in Europa per il tasso, in rapporto alla popolazione, di Neet (Not in Em-ployment, Education or Training): giovani che non studiano, non si stanno formando, non lavorano e non cercano lavoro. Un dramma, sociale ed economico, che è specchio delle condizioni del sistema educativo italiano, del mercato del lavoro e delle forti disuguaglianze all’interno della società.

Tre milioni, di cui più della metà (1,7 milioni) sono donne. Sono queste le spaventose cifre, messe per iscritto dal Ministero per le Politiche Giovanili del passato governo nel Piano di emersione e orientamento giovani inattivi, che fotografano il fenomeno dei cosiddetti Neet in Italia: tutti quei giovani tra i 15 e i 34 anni che non sono inseriti in un percorso scolastico (superiore o universitario), non si stanno formando, non lavorano e, soprattutto, non cercano lavoro. Giovani, insomma, senza progettualità e prospettive per il proprio futuro, lasciati in balia di un sistema educativo (scolastico e universitario) slegato dal mondo del lavoro, di un mercato del lavoro in cui ancora troppa incidenza hanno il lavoro sottopagato, nero o dequalificato, e di misure politiche che sono risultate inefficaci per risolvere il problema. E, dunque, costretti a cercare quelle opportunità che in Italia mancano all’estero o, peggio ancora, a scivolare tra i tentacoli della criminalità.

Teenager

Non bisogna però fare l’errore di riunire tutti all’interno di un unico calderone, ovvero di trattare i neet come una categoria omogenea al suo interno: il rischio, altrimenti, è di non inquadrare con precisione il fenomeno e adottare rimedi sbagliati, inefficaci, riduttivi.

Proviamo allora a mettere meglio a fuoco quel dato. Possiamo individuare una prima fascia di giovanissimi, tra i 15 e i 19 anni: sono il 10% della popolazione di quell’età, un numero enormemente maggiore rispetto alla media europea. Su di esso pesano le gravi carenze del sistema scolastico italiano: i continui tagli al budget per l’istruzione, la cronica carenza di docenti; strutture inadeguate – quando non fatiscenti e pericolose –; le forti disuguaglianze del livello dell’istruzione tra Nord e Sud Italia, ma anche all’interno delle stesse città tra centro e periferia; un livello di competenze basso dei diplomati italiani rispetto agli Stati competitor.

D’altronde, come ha scritto Enzo Argante su «L’Espresso», «a registrare gli indici neet più bassi sono proprio quei Paesi che investono molto sulle strutture educative, che hanno piena consapevolezza del fatto che i giovani di oggi, gli elettori di domani, sono il futuro prossimo di un Paese».

Scarse prospettive per il futuro

Sono invece uno su tre i giovani italiani dai 20 ai 24 anni che hanno deciso di non proseguire gli studi e che ancora non hanno trovato un impiego, oppure che l’hanno trovato, ma in nero. Fenomeno, quello del lavoro irregolare, purtroppo molto diffuso in Italia (secondo l’Istat nel 2020 coinvolgeva 3,7 milioni di persone), e soprattutto al Sud, dove, secondo il report di Action Aid e Cgil, Ai margini del fenomeno Neet, presentato in anteprima su “L’Espresso” da Gloria Riva, risiede la maggioranza dei neet in età universitaria. Una diseguaglianza che si riscontra anche a livello generale, perché di quei tre milioni totali quasi la metà vive in Meridione.

I motivi che spingono questi ragazzi (il 51%) e ragazze (il 49%) sono facili da immaginare: difficoltà a scuola – per chi l’ha completata, e si calcola che solo il 21% nella fascia 15-24 anni abbia un diploma –, disagio socioeconomico, assenza di prospettive per il futuro, scarse risorse (materiali e non), mancanza di percorsi di inserimento nel mondo di lavoro, rabbia e frustrazione, in un circolo che non può che autoalimentarsi se non intervengono aiuti dall’esterno, come i servizi sociali e politiche concrete ed efficaci da parte delle istituzioni. Che, in realtà, nel 2016 avrebbero anche varato una misura e stanziato più di un miliardo di euro (Garanzia giovani), ma che nei fatti è risultato un flop: per il basso numero di aderenti, e l’ancor minore numero di chi effettivamente ha trovato lavoro al termine del percorso.

I giovani adulti

Cambia nettamente il retroterra dei neet nella fascia d’età 25-29 anni: quella della massima produttività, delle energie ancora fresche e dirompenti, ma anche dei sogni per il futuro e della possibilità di realizzarli con più agevolezza. Ebbene, l’Italia presenta il dato peggiore in Europa in questa categoria: quasi il 30% del totale, secondo Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica Sociale all’Università Cattolica di Milano.

Questo vuol dire che poco meno di un ragazzo su tre in Italia tra i 25 e il 29 anni è senza un lavoro, vive con i genitori o, se è uscito dal nucleo familiare, percepisce un sussidio statale. Secondo Action Aid e Cgil sono per lo più maschi, vivono nel Centro Italia, hanno un alto livello di istruzione e hanno esperienze lavorative pregresse, venendo licenziamento o scegliendo volontariamente di terminarle. Il rapporto del Ministero per le Politiche Giovanili (oggi diventato dei Giovani e accorpato al Ministero dello Sport), che utilizza i dati Inapp relativi al 2020 (L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) fotografa, tuttavia, una situazione leggermente diversa, cioè con una prevalenza di donne (59%) in questa fascia d’età. Ciò dimostra ancora una volta l’esistenza di profonde diseguaglianze di genere che attraversano il nostro Paese, in particolare in età adulta. Lo dimostra proprio il report dell’ex ministra Dadone, che evidenzia come il numero di donne neet cresca al crescere e delle fasce d’età, e soprattutto che «in Italia il 26% delle donne NEET è madre, a fronte del ben più esiguo 2% dei padri» – come se bastasse che ben più della metà dei neet italiani siano donne.

Una problematica, questa, che con il nuovo governo non sembra poter trovare una soluzione semplice. E non solo per le politiche pro-nataliste che sono uno dei principali obiettivi dell’esecutivo, ma per la concezione della donna che vi sta alla base: cui sono idealmente assegnate la dimensione della natalità, della cura familiare e della casa. E che perciò, i servizi già estremamente carenti – se non inesistenti – per le giovani mamme, non saranno colmati da adeguate misure.

Gli scoraggiati

Concludiamo con la categoria più numerosa, conosciuta con il nome di “scoraggiati”. Sono quelle persone, tra i 30 e i 34 anni, che ormai si sono rassegnate alla loro condizione di inoccupate e hanno perso le speranze in un possibile reinserimento lavorativo. In questo caso Action Aid, Cgil e il report governativo convergono nel delinearne il profilo: sono in maggioranza donne (il 66%) e stranieri, hanno un titolo di studio di basso livello (quando lo possiedono) e scarsa fiducia nelle proprie capacità di competere in un mercato di lavoro diventato sempre più competitivo – nonostante le posizioni offerte non in linea con il livello di qualifiche e gli stipendi nettamente al ribasso –, vivono in contesti marginali (periferie urbane o in provincia, ma non in quella “bene”) e in condizioni di disagio socioeconomico.

È proprio osservando quest’ultima categoria, che è ad alto rischio di rimanere neet in maniera permanente, che diventa di un’importanza fondamentale, emergenziale direi, sviluppare interventi, in ambito scolastico e lavorativo, mirati per fascia d’età (perché è chiaro che non si possono proporre percorsi identici per un adolescente e un adulto), genere, conoscenze (penso, soprattutto, alla lingua), situazione di genitorialità. E, più in generale, a politiche che permettano di aiutare ad andar oltre, dove è possibile, i principali fattori che portano i giovani in questo limbo, e che il rapporto ministeriale individua nell’«avere un livello basso di rendimento scolastico; vivere in una famiglia con basso reddito; provenire da una famiglia in cui un genitore ha sperimentato periodi di disoccupazione; crescere con un solo genitore; essere nato in un Paese fuori dall’UE; vivere in una zona rurale; avere una disabilità». Un intervento tanto più urgente perché è compito dello Stato «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Così, ancora una volta, milioni di cittadini italiani si ritrovano a non poter beneficiare, nonostante sia loro garantito dalla Costituzione, di uno dei loro diritti fondamentali: immaginare, costruire e realizzare il proprio futuro. Che vuol dire essere privati della vita stessa.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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