I rincari nel carrello della spesa, il ritorno delle accise sul carburante, l’abbandono di misure identitarie, i compromessi con l’Europa. Alla prima prova, la legge di bilancio, il governo Meloni lascia scontenti un po’ tutti. Soprattutto i suoi sostenitori. E, se non fossero in uno stato confusionale cronico alcuni, e ingabbiati nelle proprie contraddizioni gli altri, dà ampi margini di manovra alle opposizioni.
La propaganda e la realtà
D’altronde, governare non è come stare all’opposizione. Da questa posizione privilegiata ci si può permettere di parlare solo ai propri elettori. E allora si può dire che, una volta al governo, si toglieranno le accise sulla benzina perché danneggiano i cittadini. Si può dire che in Italia di lavoro ce n’è, per chi lo vuole e non è schizzinoso. Si può promettere di mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori, che si supererà la legge Fornero, che si introdurrà una flat tax per tutti, che non ci sarà più un limite ai contanti e che i porti saranno chiusi.
Si può fare, tutto questo, perché i problemi, in Italia, sono molti, tutti scottanti. E incidono, e non poco, sulla vita dei cittadini. Soprattutto quella delle fasce basse, che vivono in equilibrio sulla soglia della povertà. Non è un caso che, secondo i dati dell’Istat, nel 2021 fossero 5,6 milioni gli italiani in condizioni di povertà assoluta, quasi il 10% della popolazione.
Ma, dicevamo, governare è diverso dal fare opposizione. Quando si governa, non si parla più solo a una parte della nazione. Si rappresenta tutti, anche chi non ti ha votato. E bisogna fare i conti con la realtà, con le capacità economiche – e con i debiti – del Paese. Dove trovare le risorse per la flat tax? E per le bollette? Ce ne saranno per togliere le accise? La risposta è semplice: in un Paese in cui, ogni anno, mancano all’appello circa 80 miliardi di euro di tasse – l’Irpef la più evasa, al secondo posto l’Iva –, tutti questi soldi non ci sono.
Perché è aumentata la benzina?
Come fare, allora? La logica imporrebbe di essere trasparenti. Quando, in legge di bilancio, si decide di non prorogare lo sconto sulle accise, bisogna poi spiegare cosa sono quelle accise, a cosa servono, perché non si possono tagliare del tutto e perché si è deciso di non prorogarne lo sconto.
Le accise sui carburanti sono, molto banalmente, delle tasse. A lungo si è detto che con i soldi provenienti dalle accise lo Stato continuava a pagare, ad esempio, per la guerra in Etiopia e per il disastro del Vajont. Falso. Quelle destinazioni sono state soppresse nel 1993. Il gettito derivante dalle accise – quasi 24 miliardi di euro nel 2021, un po’ meno nel 2022 visto lo sconto messo in atto dal governo Draghi – è usato per le spese correnti dello Stato. Ecco perché, oggi, è impensabile togliere le accise.
Eppure era nel programma di Fratelli d’Italia. Ed era solo nel 2019 che Meloni girava il video che è diventato virale nelle ultime settimane. Video, in cui, tra l’altro, si ripetono le solite bufale sulle accise («alcune le abbiamo da quando hanno inventato il motore a scoppio»), e si chiede la loro «progressiva abolizione». E Salvini – che, ricordiamolo, è un alleato di governo e ministro – ha vinto le elezioni del 2018 promettendo il taglio delle accise.
Tutto questo crea delle aspettative negli elettori.
Perché non è una misura sbagliata
Si può invece discutere sulla mancata proroga degli sconti. Perché è vero che incide sulle tasche dei cittadini, ma bisogna anche tenere presente almeno altri due dati, che ci fanno propendere per un giudizio positivo a questa misura.
Primo: due terzi dei soldi messi in campo – 21 miliardi su 35 complessivi – con la manovra finanziaria sono in deficit, e ciò significa nuovo debito pubblico. Prorogare lo sconto non sarebbe stato sostenibile. E bisogna ricordare che quei 21 miliardi verranno impegnati per contrastare il caro-bollette, ma solo per il primo trimestre. Dopo? Mistero.
Secondo: una buona parte dei fondi del Pnrr sono legati al raggiungimento di determinati obiettivi nell’ambito della transizione energetica. Il che significa essere sempre meno dipendenti dai combustibili fossili. E l’Italia ha preso anche degli impegni, a livello internazionale, per limitare le proprie emissioni di CO2. Scegliere di non prorogare gli sconti sulle accise potrebbe allora essere una misura atta a disincentivare l’uso dei combustibili fossili: più accise, più soldi per lo Stato, possibili maggiori investimenti per la transizione ecologica. È triste constatare, però, che non è per questo motivo che le accise sono tornate a prezzo pieno, ma per mero calcolo economico.
Problemi di trasparenza
Ciò che è peggio, di tutta questa faccenda, è la mancanza di trasparenza da parte del governo. Che ha deciso di affibbiare la colpa degli aumenti ai distributori, colpevoli di speculare sul prezzo al dettaglio del carburante. Lascia un sorriso amaro, allora, il “decreto sulla trasparenza dei carburanti” varato in fretta e furia dall’esecutivo, che obbliga i distributori ad affiggere, accanto al prezzo del carburante, il prezzo medio nazionale.
Sarebbe bastato molto meno, in un momento di crisi, per essere davvero trasparenti. Convocare una conferenza stampa e sostenere le proprie scelte, articolando le motivazioni che hanno spinto a prenderle. Si potrebbe poi entrare nel merito, certo. Ma nessuno si sentirebbe ingannato, o tradito. Ha provato a gettare acqua sul fuoco, ieri, Meloni. Pessima la scelta del modo, con una diretta su Facebook all’interno della sua rubrica “Gli appunti di Giorgia” – per la carica che ricopre, la delicatezza della questione e, francamente, il rispetto per i cittadini, ci si aspettava quantomeno una sede istituzionale. Ma quantomeno ha spiegato la scelta presa dal governo.
Resta, però, il rischio di perdere la faccia. E la fiducia degli elettori. Non è la prima giravolta di questo governo, e nemmeno la prima volta che ha lanciato il sasso e nascosto la mano. Come quando ha addossato la colpa ai ritardi lasciati dal governo Draghi, se l’Italia non sarebbe riuscita a raggiungere gli obiettivi del Pnrr per ricevere i fondi – obiettivi che sono stati raggiunti. Secondo i sondaggi, non sarà nemmeno l’ultima, perché Fratelli d’Italia è stabilmente sopra il 30%.
Ma, si sa, gli elettori sono volubili. Tanto più se non si soddisfano le loro aspettative. E se si sentono presi in giro.