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Gli anni di piombo

Die bleierne Zeit. È con questo titolo che Margarethe von Trotta, regista tedesca, presenta la storia di due sorelle. Siamo negli anni ’70, nella Germania Ovest. Marianne e Jule sono politicamente impegnate nella Sinistra ma hanno imboccato strade completamente diverse: Jule ha una vita tranquilla, fa la giornalista ed è fidanzata; Marianne, invece, ha deciso che la vita familiare non fa per lei, abbandona marito e figlio ed entra nella Rote Armee Fraktion. Insomma, Marianne diventa una terrorista. Quando il film esce nelle sale cinematografiche, nel 1981, è un successo, e non solo nell’ambiente cinematografico – vinse ben 4 premi, tra cui il Leone d’oro di Venezia e il David di Donatello. Ben presto, infatti, il titolo, tradotto nel corrispettivo italiano, verrà utilizzato dalla stampa, e poi entrerà nell’uso comune, per indicare quegli anni, gli anni ’70. Il nome è iconico, lo conosciamo tutti: è Anni di piombo.

Le premesse

Prima, però, dobbiamo fare un passo indietro alla seconda metà degli anni ’60. La società italiana di questi anni è una società fortemente politicizzata, e già dalla giovinezza: gli iscritti ai partiti sono moltissimi (oltre un milione e mezzo a testa tra Pci e Dc, più di mezzo milione quelli del Psi), il movimento operaio e i sindacati sono all’apice della loro forza, gli studenti organizzati iniziano a manifestare per chiedere trasformazioni all’interno della società e dell’università. Insomma, è il Sessantotto. Appartenere a un’organizzazione politica in quegli anni significa anche aderire alle grandi ideologie politico-economiche che dividevano il mondo in due: da un lato la democrazia e il capitalismo del Patto atlantico, dall’altro il comunismo sovietico. E nell’Italia di quegli anni, la paura di una vittoria del comunismo era forte, visto il protagonismo di tutta l’area della sinistra: le grandi manifestazioni operaie, gli studenti in piazza, le occupazioni delle facoltà spesso si trasformavano in tafferugli tra gli studenti organizzati nel movimento studentesco (di sinistra) e nel Fuan, il Fronte universitario d’azione nazionale (di destra); o, più spesso, tra studenti e polizia, come nel caso di Valle Giulia, a Roma, il 1° marzo 1968. Lo scontro è duro, in questi anni, ma non ha ancora quel carattere di violenza endemica, quotidiana, diffusa tra due fazioni opposte, percepite come il “nemico da abbattere”, che assumerà nel decennio successivo.

C’è una data che si può identificare come punto di svolta, come il momento della «perdita dell’innocenza». Il 12 dicembre 1969, un ordigno con 7 chili di tritolo esplose nella sede milanese della Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana, uccidendo 17 persone e ferendone un centinaio. Le indagini si concentrarono su un anarchico, Giuseppe Pinelli, ma l’opinione pubblica e la stampa individuarono subito nell’estrema destra fascista il colpevole dell’attentato e denunciarono i tentativi di depistaggio delle forze dell’ordine. Era l’inizio della «strategia della tensione», cioè quel tentativo, da parte delle forze di destra, sostenute dell’associazione segreta Gladio e settori deviati dello Stato, di destabilizzare lo Stato e la democrazia paventando un pericolo “rosso” e favorendo così una svolta politica autoritaria.

È da questo momento che possiamo parlare più propriamente di “anni di piombo”. Il livello dello scontro, infatti, si alzò vertiginosamente, trasformandosi in violenza diffusa; la società si radicalizzò, al punto che si vennero a creare due “idealtipi”, i “fasci” e i “rossi”, definiti dal modo di vestire, dal taglio di capelli, dalle scarpe, dalla musica ascoltata, dai quotidiani letti, dai luoghi frequentati; nacquero i “servizi d’ordine” alle manifestazioni, in particolare tra le firme di sinistra (Lotta continua, Potere operaio), che iniziarono a praticare il cosiddetto “antifascismo militante” – in sostanza, la violenza. Piazza Fontana, invece, aveva dimostrato che lo scontro politico, a destra, si era trasformato in terrorismo e assumeva le forme dello stragismo.

Il terrorismo nero: lo stragismo

Terrorismo di destra e terrorismo di sinistra erano accomunati dal carattere eversivo, ma si distinguevano profondamente nei metodi. Quello di destra, praticato da gruppi come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, i Nuclei Armati Rivoluzionari, si caratterizzava per il ricorso alle bombe in luoghi pubblici, atte a provocare stragi – ma non bisogna dimenticare che i gruppi neofascisti compirono anche attentati e agguati a singole persone, come quelli di Giorgiana Masi e del giudice Mario Amato e lo stupro di Franca Rame.

Da quel 12 dicembre, per tutti gli anni ’70, gli attentati stragisti ascrivibili all’estrema destra si moltiplicarono.

22 luglio 1970. Il Treno del Sole (il direttissimo Siracusa-Torino Porta Nuova), deraglia all’altezza della stazione di Gioia Tauro perché i binari sono stati fatti saltare in aria: 6 morti e oltre 60 feriti.

31 maggio 1972. A Peteano, in provincia di Gorizia, la stazione dei carabinieri riceve una chiamata anonima che denuncia una 500 bianca abbandonata. Cinque agenti si recano sul posto e, quando tre di essi cercano di aprire il cofano, la macchina esplode. I tre muoiono sul colpo, gli altri due restano gravemente feriti.

17 maggio 1973. Gianfranco Bertoli, membro civile dell’organizzazione segreta Gladio, lancia una bomba a mano di fronte alla questura di Milano, dove si stava celebrando il primo anniversario dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Muoiono 4 persone, una cinquantina sono i feriti.

28 maggio 1974. A Brescia, in Piazza della Loggia, c’è una manifestazione sindacalista e antifascista per protestare contro una serie di attentati avvenuti nella zona. Poco dopo l’inizio della manifestazione, quando le persone hanno riempito la piazza, una bomba nascosta in un cestino della spazzatura esplode. 8 morti e 102 feriti.

4 agosto 1974. Sul treno Roma-Monaco di Baviera, l’Italicus, poco prima dell’uscita dalla Grande galleria dell’Appenino esplode una bomba nascosta in una carrozza. 12 sono le vittime, oltre 100 i feriti.

12 agosto 1980. Alle 10.25, dentro la sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna, una valigia abbandonata esplode, facendo crollare una parte dell’edificio e distruggendo anche il parcheggio antistante. 23 chili di esplosivo uccisero 85 persone e ne ferirono o mutilarono più di 200.

Tutti questi tragici eventi avevano altri elementi in comune, oltre al fatto di essere compiuti da firme dell’estrema destra (soprattutto Ordine nuovo): i tentativi di depistaggio delle indagini verso l’estrema sinistra e il coinvolgimento e il sostegno (o almeno il sospetto tale), a vario titolo, di pezzi dello Stato, dei servizi segreti e/o della criminalità organizzata. Probabilmente è per questi motivi che, nei decenni, è stato così difficile accertare le responsabilità di queste stragi per via giudiziaria.

Il terrorismo rosso: i delitti eccellenti

Come si accennava prima, c’era poi il terrorismo dei gruppi armati e clandestini dell’estrema sinistra, come i Gruppi d’Azione Partigiana, il Gruppo XXII Ottobre, Prima Linea, i Nuclei Armati Proletari, le Brigate Rosse, che praticavano la lotta armata, che avevano come modello la guerriglia e che puntavano a rovesciare il sistema capitalistico dello Stato borghese. Il terrorismo “rosso” si sviluppò poco dopo quello “nero”, dall’inizio degli anni ‘70, per fattori molteplici e diversi tra loro: la debolezza dello Stato, il terrorismo nero, la «psicosi del colpo di Stato» erano quelli più immediati, “interni”, ma un ruolo non di secondo piano lo svolsero la crisi che in quegli anni attraversava le grandi ideologie politiche, la perdita di prestigio dell’Urss e la grave crisi economica (la «stagflazione» è stata chiamata) che ha seguito la crisi petrolifera del 1973.

Anche il terrorismo rosso aveva le sue peculiarità. Innanzitutto, lo praticavano soprattutto giovani e giovanissimi che avevano già fatto parte del movimento studentesco o delle organizzazioni di estrema sinistra, ma anche ex militanti dei partiti di sinistra, operai delle fabbriche, ecc. Poi, il modus operandi. All’inizio si concretizzò soprattutto in attentati dinamitardi isolati (come quelli dei Gap a Milano nel 1970-71 e del Gruppo XXII Ottobre a Genova), incendi, sabotaggi e sequestri di persona, soprattutto di grandi industriali e dirigenti di fabbrica (come Idalgo Macchiarini ed Ettore Amerio, rispettivamente della Sit-Siemens e della Fiat), per “finanziare” la lotta armata. Anche in questo caso, possiamo identificare una data di svolta, che segna l’inizio vero e proprio dell’attacco al potere politico, economico e sociale dello Stato. Il 18 aprile 1974, le Brigate Rosse, nate quattro anni prima e presto diventate il gruppo principale dell’estremismo di sinistra, rapirono a Genova Mario Sossi, Pm del processo contro il Gruppo XXII Ottobre, e in cambio della sua liberazione chiesero la scarcerazione di otto militanti del suddetto gruppo. Poco più di un mese dopo, Sossi venne liberato, ma senza alcuna contropartita, perché il Procuratore generale Francesco Coco non firmò l’ordinanza di scarcerazione. Da questo momento, si passò dai sequestri agli omicidi mirati.

8 giugno 1976. Francesco Coco viene crivellato dai colpi di una mitraglietta nei pressi di casa sua, a Genova, assieme ai due uomini della sua scorta.

28 aprile 1977. Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, viene ammazzato a colpi di pistola da un commando delle Brigate Rosse perché “reo” di essere stato nominato, al loro processo, difensore d’ufficio di Renato Curcio, Alberto Franceschini e altri membri dell’organizzazione.

16 novembre 1977. Nell’androne di casa sua, a Torino, Carlo Casalegno, vice-direttore de «La Stampa» impegnato a denunciare il terrorismo, viene raggiunto da cinque brigatisti, che gli sparano quattro colpi in faccia e scappano, credendo di averlo ucciso. Casalegno, portato all’ospedale Le Molinette, morirà solo il 29 novembre, dopo 13 giorni di agonia.

10 marzo 1978. A Torino, Rosario Berardi, maresciallo di Pubblica Sicurezza ed ex membro dei nuclei antiterrorismo della Questura torinese, viene raggiunto da sette colpi di pistola mentre aspetta il tram per andare a lavoro.

21 giugno 1978. Antonio Esposito, commissario di Pubblica sicurezza e vecchio collega di Berardi nei nuclei antiterrorismo torinesi, viene ucciso con una decina di colpi d’arma da fuoco sull’autobus, a Genova.

12 febbraio 1980. Sulle scale dell’Università La Sapienza, a Roma, Vittorio Bachelet, dirigente dell’Azione Cattolica, amico personale di Aldo Moro e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, viene assassinato con sette colpi di pistola.

Ma il vero attacco frontale allo Stato avviene il 16 marzo 1978 a Roma, quando, alle 9 di mattina, le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro e uccidono i membri della sua scorta. Dopo 55 giorni, il 9 maggio, il corpo dell’onorevole democristiano, ucciso da 11 colpi d’arma da fuoco, verrà fatto ritrovare in via Caetani, dentro il baule di una Renault 4 rossa.

La lotta al terrorismo “rosso”, diversamente da quella al terrorismo nero, fu combattuta in maniera aspra e decisa dallo Stato fin da subito. Il Gruppo XXII Ottobre, ad esempio, durò solo due anni, smantellato definitivamente dagli arresti dei suoi membri e del leader, Mario Rossi; subito dopo il sequestro e la liberazione di Sossi, fu istituito il carcere speciale per i detenuti politici, furono conferiti poteri eccezionali alla polizia per prevenire il terrorismo e fu creato il nucleo speciale dei Carabinieri, guidato da Carlo Alberto Dalla Chiesa; sempre nel 1974, furono arrestati i due capi storici delle Brigate Rosse, Renato Curcio e Alberto Franceschini, insieme a numerosi altri membri dell’organizzazione. Inoltre, dagli anni ’80 l’azione della magistratura si fece più efficace, grazie sia a una nuova esperienza al suo interno, quella della creazione di un pool di magistrati che condivideva le informazioni, sia alla crescita del numero di collaboratori di giustizia, favorita da una legge, approvata nel 1980, che concedeva forti sconti di pena ai “pentiti”.

Una guerra civile?

Proprio negli anni ’80, entrambi i terrorismi andarono scemando, per poi scomparire. Quello di estrema destra, che il suo atto più terribile lo compì quel 12 agosto 1980, ebbe un ultimo colpo di coda il 23 dicembre 1984, quando una bomba esplose sul treno rapido Napoli-Milano nei pressi, nuovamente, della Grande galleria dell’Appennino – una sentenza del novembre 1992 stabilì la matrice terroristico-mafiosa dell’attentato. Le Brigate Rosse, nonostante altri omicidi “eccellenti”, andarono incontro a un declino irreversibile, che si concluse con il loro scioglimento nel 1988.

Il bilancio di questa terribile stagione è tragico: oltre 350 morti e più di 1.000 feriti. Numeri peggiori in Italia, escluse le guerre mondiali, li ha fatti solo la cosiddetta seconda guerra di mafia, tra il 1978 e il 1985. E, mutuando questo termine, “guerra”, possiamo – e dobbiamo – chiederci: può essere considerata, quella degli anni ’70, una guerra civile?

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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