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Il Sessantotto e l’Autunno caldo

2 dicembre 1964. Università di Berkley, California.

Il giovane studente e attivista Mario Savio, un italo-americano di origini siculo-venete, in qualità di leader del movimento Free Speech Movement, coordina circa 5000 studenti nell’organizzazione di un sit-in pacifico in segno di protesta contro le politiche universitarie restrittive riguardo la libertà di parola e di espressione.

Quello che Savio in quel momento non sa, però, è che non sta promuovendo una qualsiasi protesta universitaria, bensì sta innescando un movimento che sarebbe andato ben oltre l’università della California. Sull’onda di Berkley, infatti, studenti di tutto l’occidente si animano ed iniziano a protestare, insoddisfatti del mondo che gli adulti hanno riedificato dalle macerie dell’ultima guerra: così ha inizio il Sessantotto.

La lotta studentesca

Come e più che negli altri paesi, anche l’Italia viene travolta dalla serie di proteste che stava infiammando l’America e l’Occidente. I primi a farsi coinvolgere furono, al pari di altrove, gli studenti universitari: nel 1965 venne occupata la sede universitaria di Pisa, nel 1966 quella di Trento e nel 1967 quella di Torino. In un primo momento la protesta si concretizzò in assemblee studentesche, durante le quali i ragazzi ebbero modo di far crescere il sentimento comune di agitazione e rivendicare affari interni dell’università come la diminuzione delle tasse e una maggiore partecipazione studentesca agli organi decisionali. Poi, tra la fine del ’67 e il ’68 la contestazione si spostò in strada, prendendo la forma di cortei e pubbliche manifestazioni. Anche le richieste si modificarono, virando verso un piano più ideologico: si aspirava ad una riforma dei metodi universitari per quanto concerne l’approccio critico al sapere, l’educazione alla libera discussione, il tipo di conoscenza che veniva trasmessa agli studenti.

Emblematico è un avvenimento che è passato alla storia come la “battaglia di Valle Giulia”: con lo scopo di “riprendersi” la facoltà di Villa Borghese, dopo la decisione del rettore dell’Università di Roma di far sgomberare gli atenei occupati, il 1° marzo 1968 migliaia di studenti partirono da piazza di Spagna alla volta dell’ateneo controllato dalle forze dell’ordine, con le quali si scontrarono violentemente a suon di lanci di uova marce, pomodori e perfino sassi e candelotti. Durante tutto il ‘68, comunque, le proteste si intensificarono e arrivarono a toccare temi che esulavano dal mondo universitario. Gli studenti – ormai soprannominati “sessantottini” – si ribellavano alla cultura borghese, all’oppressione e allo sfruttamento generati dal sistema capitalista. Come stava avvenendo nel resto del mondo, crebbero le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, si diffuse la cultura Hippie, si predicava l’amore libero e si ballava sulle note del rock’n’roll. Diffusi erano slogan come “Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi!”, “Vietato vietare!”, “Fate l’amore, non fate la guerra!”.

Accanto a quello studentesco, prese piede – soprattutto tra il 1969 e il 1970 – il movimento femminista, o “Movimento di liberazione della donna”: iniziò il rifiuto da parte della donna del dominio maschile, l’intolleranza alla società patriarcale. Le donne protestavano, sfilavano, organizzarono rivolte. E lo facevano indossando prettamente pantaloni e minigonne (che certamente non rientravano nei canoni stilistici del tempo), al grido di frasi come “tremate, tremate, le streghe son tornate”.

La lotta operaia

Nel momento in cui la lotta studentesca si aprì ad altre categorie sociali, avvenne l’incontro con il movimento operaio.

Nell’autunno del 1969 – che venne appunto denominato “autunno caldo” – si visse il culmine dell’intenso periodo di lotta operaia iniziata già a metà degli anni ’60. I lavoratori, rappresentati maggiormente dalla figura dell’operaio medio, chiedevano l’aumento salariale e la fine dello sfruttamento, rivendicavano una democrazia operaia nascente “dal basso”. Gli scioperi, ai quali iniziarono a partecipare in segno di solidarietà anche gli studenti, erano organizzati in modo da rallentare o addirittura impedire la produzione. Spesso, per coinvolgere più colleghi possibili, gli scioperi avvenivano direttamente all’interno delle fabbriche, lungo i corridoi, con cortei interni.

I lavoratori più coinvolti nelle manifestazioni erano quelli impiegati nei settori più produttivi, come il metallurgico, il siderurgico e il metalmeccanico. Particolarmente intense furono le proteste portate avanti dai lavoratori della Fiat a Torino, nel quartiere di Mirafiori. Proprio una famosa vertenza Fiat, cominciata agli inizi di settembre del 69, è considerata avvenimento precursore dell’autunno caldo: in seguito ad uno sciopero definito “selvaggio”, l’azienda degli Agnelli sospese 6700 operai (arrivò a sospenderne, nei giorni successivi, circa 28.000) ad una settimana dal rinnovo contrattuale. La situazione si placò dopo il 6 settembre, quando l’azienda iniziò gradualmente a ritirare le sospensioni a seguito di vari incontri con i sindacati.

Sindacati che, intanto, faticavano a coordinare le manifestazioni all’interno delle fabbriche. Proprio contro le commissioni interne di questi ultimi nacquero addirittura delle organizzazioni che presero il nome di Comitati unitari di base (CUB). Nonostante inizialmente i CUB fossero molto conflittuali con il sindacato, i rapporti andarono con il tempo distendendosi fino a quando – nel corso del 1969 – all’interno del sindacato stesso venne a formarsi una corrente, un’area di sinistra sindacale radicale, che portò avanti la «sindacalizzazione della contestazione». Rappresentativo fu, sotto questo punto di vista, il momento in cui le tre categorie dei metalmeccanici di Cigl, Cisl e Uil decisero di far firmare la piattaforma del contratto collettivo ai propri iscritti: in questo modo, delegando le decisioni ultime ai lavoratori e non alle strutture esterne, dipendenti dai partiti politici, il sindacato si rendeva più autonomo dalla politica, più democratico e più unitario (agendo come unico sindacato e non come tre sindacati disgiunti).

Le conquiste

Questa nuova strategia sindacale sarà la chiave di volta per il raggiungimento degli obiettivi centrali della lotta operaia: la classe dirigente, sia economica che politica, verrà spronata e convinta a realizzare quelle riforme del mondo del lavoro tante volte promesse e mai concesse.

A livello salariale, due furono le vittorie importanti: la prima, nel 1969, l’ottenimento dell’abolizione delle gabbie salariali, ovvero quelle fasce che differenziavano il salario sulla base di una suddivisione geografica; la seconda, nel 1970, riguardò il settore dei metalmeccanici, che ottenne aumenti uguali per tutti, grazie soprattutto al movimento studentesco.

Anche l’ottenimento dello straordinario volontario fu un successo dell’autunno caldo: difatti, il lavoro straordinario, che fino a quel momento era, seppur pagato di più, obbligatorio, divenne scelta volontaria del lavoratore.

Ma la conquista più grande è stata, senza dubbio, l’emanazione, il 20 maggio 1970, dello Statuto dei lavoratori, il quale, tra le altre cose: garantiva al dipendente la libertà di opinione e di manifestazione sul luogo di lavoro, senza discriminazione sulla base delle proprie tendenze politiche; vietava le forme di controllo su di esso tramite personale preposto o impianti audiovisivi; regolamentava i licenziamenti e concedeva permessi per motivi di studio.

Si concludeva così una lunga stagione di forti lotte e di significative conquiste, ma in Italia la quiete era ancora lontana: nel fermento del ’68 erano nati movimenti extraparlamentari e si era fatta strada una violenza che avrebbe definito anni di enorme tensione, macchiati di estremismo politico e azioni terroristiche; un periodo che passerà alla storia come “anni di piombo”.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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