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10 febbraio. Il Giorno del Ricordo

La puntata della settimana della rubrica Hi, Storia! è dedicata al Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano dalmata, festività civile italiana che si celebra ogni 10 febbraio. Buona lettura!

Ottobre 1943. Istria.

L’8 settembre è passato da poco, ma in quella zona dei Balcani sembra solo un ricordo lontano. L’Italia, quel giorno, ha firmato l’armistizio. La fine di un incubo. Due anni di dura occupazione nazifascista, di violenze ed efferatezze. Di lotta partigiana e di rappresaglie. Poi, il collasso del Regio Esercito. E la speranza. Di pace, finalmente. Per tutti. Slavi, croati, italiani.

Divisioni nuove, per i tempi della storia. Nate appena un secolo prima, a metà dell’Ottocento, quando la “primavera dei popoli” ha suggerito che quelle comunità, che di diverso avevano solo la lingua, fossero invece intimamente differenti. Non solo nella lingua, ma nel sangue. Perché appartenenti a nazioni diverse. Eccolo, l’inganno dei nazionalismi. Dividere e riaggregare persone su caratteri predeterminati e fittizi. E pretendere che alle nuove comunità corrisponda un territorio ben definito.

Bel problema, in un territorio multiculturale e poliglotta come la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia. Nazionalizzare le masse ha sconvolto fragili equilibri. Che sono deflagrati dopo la Grande Guerra. Prima con la divisione tra Regno d’Italia e il neonato Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Poi, con l’affermazione del fascismo e la sua politica di assimilazione forzata delle minoranze. E, infine, con l’occupazione militare del 1941 e i crimini di cui il Regio Esercito si è macchiato. Come a Podhum, il 12 luglio 1942. I militari italiani, per rappresaglia, hanno sterminato tutti gli uomini tra i 16 e i 64 anni della cittadina croata. Tutti gli altri, donne, anziani e bambini, li hanno deportati nel campo di concentramento di Fraschette, nei pressi di Frosinone. 91 morti e 890 internati nel Lazio, il bilancio.

Ma non sono solo i fascisti a commettere crimini. Anche i partigiani di Josip Broz, meglio noto come Tito, combattono e non si risparmiano. Non smettono di farlo anche dopo l’armistizio e il 23 settembre, quando viene creata la Repubblica Sociale Italiana, sotto la cui amministrazione finiranno quei territori dell’Italia. Gli italiani vengono visti e percepiti come invasori, fascisti. Carnefici. Anche quelli che con il fascismo non c’entrano proprio niente. Come Norma Cossetto, colpevole non di essere fascista, ma la figlia di un fascista. O come don Angelo Tarticchio, arrestato il 16 settembre dai partigiani di Tito, barbaramente torturato e poi ucciso. I loro corpi hanno avuto la stessa sorte di quelli di altre migliaia di persone: gettati nelle cave di bauxite o nelle foibe, quelle grandi fosse naturali – in alcuni casi di dimensioni spettacolari – così tipiche dell’area istriana e giuliana.

Al fianco del Regio esercito italiano, nei Balcani, ci sono i ben più pericolosi nazisti. Anche loro utilizzano le foibe come fosse comuni per partigiani e civili. Ma prima le hanno fatte ispezionare. E vi hanno trovato cadaveri. Molti. Di italiani, ma non solo. Di serbi, sloveni e croati. Di fascisti e antifascisti. Di civili.

I tedeschi occupano l’area fino all’ottobre 1944, quando si ritirano. Così, i partigiani di Tito hanno mano libera. Dilagano nel Carso, arrivano fino al Tagliamento e, nel maggio 1945, assumono il potere. Le violenze continuano. Contro i fascisti, i repubblichini, i soldati che tanta sofferenza avevano causato alle popolazioni locali. Ma anche con un obiettivo: eliminare chi si era opposto e chiunque avrebbe potuto opporsi al progetto politico di Tito, trasformare la Jugoslavia in un regime stalinista. Le sparizioni, che in questa fase si moltiplicano, hanno però una chiara definizione: sono principalmente italiani. Anzi, italofoni. L’obiettivo è di intimidirli, costringerli a fuggire. Gli slavi diventerebbero così l’etnia dominante e indurrebbero le potenze vincitrici della guerra ad assegnare loro tutta l’area carsica, sulla base del principio della nazionalità. Le foibe si riempiono di cadaveri. Alla fine, secondo le stime più aggiornate, saranno tra 5.000 e 6.000 le persone “infoibate”. Molti morirono nei campi di concentramento jugoslavi, ma vi fu anche chi venne gettato vivo nelle foibe e perse la vita lì dentro.

Il piano di Tito, purtroppo, ha successo. Nel 1945 chi si sente italiano inizia a scappare dall’Istria, dal Venezia Giulia e dalla Dalmazia: è l’inizio dell’esodo giuliano-dalmata. Si parla di un numero variabile tra i 250.000 e i 350.000 italiani costretti a fuggire dalle proprie case. Ad abbandonare la propria vita.

È questo che ricordiamo celebrando il Giorno della Memoria. Non se a commettere quei crimini fossero comunisti contro fascisti. Ricordiamo centinaia di migliaia di vite spezzate, sconvolte. La data in cui è stata fissata la celebrazione, il 10 febbraio, coincide con la firma del Trattato di Parigi, il 10 febbraio 1947, quando le grandi potenze vincitrici provarono a mettere un punto alla questione dei confini tra Italia e Jugoslavia, accogliendo molte delle rivendicazioni jugoslave sui territori dalmati, giuliani e istriani.

Ma un punto definitivo su tutta la vicenda delle foibe, degli eccidi, dell’esodo giuliano dalmata si riuscirà a mettere solo quando tutti, dal mondo della politica alla società civile, accetteranno di mettere da parte le ideologie e affrontare questa brutta pagina della storia in modo obiettivo e razionale. Senza alimentare la fiamma del nazionalismo e del revisionismo storico. Solo a quel punto, forse, potremo davvero rendere giustizia a tutte le persone morte nel conflitto con gli jugoslavi e agli esuli italiani giuliano-dalmati-istriani.

 

Nell’immagine, uomini che recuperano una salma. Le maschere antigas servivano a proteggerli dai miasmi dell’aria attorno alla foiba.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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