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Il programma elettorale del Partito Democratico

L’appuntamento con le urne è sempre più vicino e, secondo gli ultimi sondaggi pubblicati, il centrodestra, trainato da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, sembra prossimo a prendere la guida del Paese. A vincere, comunque, non sarà solo un leader o un partito, ma una certa idea di Italia e della società. E mai come a questa tornata elettorale quelle dei diversi attori politici appaiono così distanti le une dalle altre.

Il Partito Democratico ha deciso di presentarsi alle elezioni descrivendosi in termini antitetici rispetto alla coalizione di destra, definita sovranista e populista, che «diffonde paura, avversione, odio», contraria a un serio impegno sul piano dei diritti civili, della lotta alle diseguaglianze – sociali, economiche, di genere – e al cambiamento climatico, chiusa entro un orizzonte strettamente nazionale – e nazionalista.

Nel suo programma, invece, il partito rivendica il proprio ruolo a difesa dei valori democratici, propone di rimuovere le disparità economiche e sociali, presta attenzione ai temi della sostenibilità e della tutela dell’ambiente, dei diritti civili, della parità di genere, immagina una società inclusiva, egualitaria, democratica. Una visione che, però, rischia di essere un’arma a doppio taglio, perché se è vero che tenta di intercettare il fronte progressista, i nuovi elettori e gli indecisi, è altresì divisivo e appare anche difficile da realizzare.

È attorno ad alcuni temi specifici che si gioca la vera partita del Pd, quella identitaria, perché al di là che sia al governo o all’opposizione, ciò di cui ha bisogno il centrosinistra è un indirizzo chiaro, e da questo punto di vista Letta sembra aver centrato l’obiettivo.

L’impegno del Partito Democratico su lavoro e fisco

Tema principe della campagna elettorale del Pd, attorno al quale ruotano molti altri – come il fisco – è certamente quello del lavoro. Individuando come problemi cronici i salari bassi e l’alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, vengono avanzate due proposte come cavalli di battaglia: l’introduzione di un salario minimo (circa 9 euro lordi all’ora) «nei settori a più alta incidenza di povertà lavorativa» e il taglio del cuneo fiscale. Entrambe le misure presentano luci e ombre. Introdurre un salario minimo, ad esempio, sarebbe una grande conquista, ma solo se affiancato dalla contrattazione collettiva (che non diventi, infatti, una scusa per non andare oltre i 9 euro l’ora); inoltre, allo stato attuale, nella migliore delle ipotesi equivale a non più di 7 euro netti l’ora, cioè meno di 1200 euro per un full-time. Per questo è necessario il previsto taglio del cuneo fiscale, che il Pd si propone di finanziare recuperando gettito dall’evasione fiscale.

Si rende obbligatoria, dunque, una seria lotta all’evasione, prevista anch’essa ma che la storia recente ha insegnato non essere mai in testa all’agenda politica. Non mancano poi dichiarazioni di impegno nella lotta al precariato, al lavoro nero e sommerso e al caporalato; nel favorire le politiche attive di occupazione giovanile e femminile e l’occupazione nel Mezzogiorno, in modo da ridurre le disuguaglianze generazionali, di genere e territoriali.

Sono proposte che generano alte aspettative ma che, allo stesso tempo, sono di difficile attuazione.

Se non altro, il Pd ha il merito di adottare il punto di vista di quei lavoratori che, a fine mese, ricevono una busta paga dal proprio datore ampiamente decurtata. Spesso dimenticati da chi invece rivendica sempre e in prima battuta la propria attenzione alla salute delle “piccole e medie imprese”, forse dimenticando che il grosso dell’evasione fiscale in Italia proviene proprio da questo tipo di aziende e che dei soldi provenienti dalle agevolazioni l’imprenditore può farne quello che vuole.

Il programma del Pd su immigrazione e cittadinanza

Altro tema forte, che prefigura una netta scelta di campo, è l’immigrazione, un argomento che la propaganda politica dell’ultimo decennio ha trasformato in un discorso più ideologico che di sostanza. La politica migratoria e sulla cittadinanza di uno Stato è specchio di quale immagine quel Paese vuole dare di sé e, soprattutto, di quale futuro la sua classe dirigente ha in mente per esso. E in questo il Pd ha le idee molto chiare: una politica che si propone di rispettare il «sacrosanto principio per cui chi è in pericolo in mare va soccorso e salvato», accolto e integrato, ma che presta attenzione e intende anche facilitare le migrazioni per motivi di lavoro – tanto demonizzate da chi accusa i migranti di “rubare” il lavoro agli italiani – e l’attivazione di corridoi umanitari.

Particolarmente spinosa è poi la questione dei figli degli immigrati, le “seconde generazioni”, per un Paese che ancora si fonda sullo ius sanguiniis. Da anni è in corso un’aspra battaglia e, essendo troppo avanzato per questo Paese lo ius soli, il Pd si pone, in un contesto anacronistico, all’avanguardia proponendo lo ius scholae, una legge che riconosca la cittadinanza italiana a chi è nato in Italia, o vi sia entrato prima dei 12 anni, e vi abbia studiato almeno 5 anni, oppure a chi è entrato in Italia prima dei 18 anni, vi abbia risieduto legalmente per 6 anni e abbia concluso un ciclo di studi. Uno scoglio che purtroppo ancora non si è riusciti a superare, ma che rappresenta il minimo sindacale nell’era della globalizzazione.

Diritti civili e tutela delle minoranze: la politica del Partito Democratico

L’anima progressista del Pd si vede nell’ampio programma sui “diritti civili”, cioè quelli che tutelano le libertà dell’individuo. In questo campo sono quattro le grandi battaglie che il partito si propone di portare avanti: l’approvazione della legge contro l’omotransfobia, il matrimonio egualitario (no, non bastano le unioni civili per una piena uguaglianza tra tutti i cittadini), la legge sul fine vita e la difesa della libertà delle donne di praticare l’aborto. D’altronde l’Italia è uno Stato laico, e uno Stato laico non può e non deve permettere che convinzioni di tipo confessionale influenzino e indirizzino la vita comunitaria.

La proposta del Pd sullo sviluppo sostenibile e l’ambientalismo

L’ultimo pilastro del programma del Pd è quello dello «sviluppo sostenibile» e del completamento della transizione ecologica, in linea con l’obiettivo europeo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

In che modo attuarle? Attraverso investimenti nelle rinnovabili, una «riforma fiscale verde» che premi le aziende virtuose, la promozione della mobilità sostenibile, privata e pubblica. Argomenti che vengono messi esplicitamente in relazione ai «grandi temi della biodiversità e della protezione degli animali e della fauna selvatica», provando così a intercettare il consenso soprattutto delle nuove generazioni, particolarmente sensibili ai temi ambientalistici.

Nel complesso, il sentiero tracciato dal programma del Partito Democratico appare lastricato di buone intenzioni, ma viene da chiedersi come riuscirà a tradurlo in realtà.

Da un lato richiede un notevole sforzo economico, dall’altro necessita di una maturità e di un carattere che il popolo italiano ha già dimostrato di non possedere, o almeno non la maggioranza di esso.

Sembra che, come si accennava all’inizio, convinto forse dagli esiti dei sondaggi, il Pd abbia deciso più che altro di fare una netta scelta di campo e tentare di rappresentare non solo l’opposizione attuale, ma anche una possibile fetta di opposizione futura, quando cioè le contraddizioni e le spinte conservatrici dei partiti del centrodestra si dimostreranno, forse, inadatte a governare la realtà attuale dell’Italia.

Programma elettorale

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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