Qualcuno ha definito l’Unione Europea “un sogno nato da un incubo”: difatti, se è vero che dal letame nascono i fior, è nel periodo della guerra fredda, in un’Europa devastata dal secondo conflitto mondiale, che germoglia il seme di un’unità sovranazionale tra gli stati del continente.
Già nel 1941, in realtà, un giovane esiliato su una piccola isola laziale, il comunista Altiero Spinelli, scriveva – in quello che sarebbe diventato il famoso Manifesto di Ventotene – che “Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente […], che troverebbero nella Federazione Europea la loro più semplice soluzione”.
Ancora, il 19 settembre del 1946, l’ex primo ministro britannico Winston Churchill, disquisendo con gli studenti dell’Università di Zurigo sulle tristi condizioni in cui versava l’Europa del dopoguerra, parla di un “Rimedio sovrano: esso consiste nella ricostruzione della famiglia dei popoli europei […], e nel dotarla di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza e in libertà. Dobbiamo creare una specie di Stati Uniti d’Europa”.
Ecco, quindi, che inizia ad affermarsi l’idea che per fuggire da altri esasperati nazionalismi, dalle guerre da essi prodotte e dai conseguenti dissesti economici e sociali, l’unica scelta possibile fosse l’Unità tra gli stati europei.
I primi passi: il congresso dell’Aia
Furono proprio gli interventi e le proposte di Churchill a rappresentare l’elemento stimolatore per diverse forze e movimenti che si erano attivati nell’immediato dopoguerra: egli stesso, dal 7 al 10 maggio 1948, presiedette il Congresso dell’Aia – organizzato dal “Comitato internazionale dei movimenti per l’Unione europea”- che vide come partecipanti 750 delegati da tutta Europa, rappresentanti delle varie anime politiche e tendenze ideologiche del tempo (ad eccezione degli esponenti dei partiti comunisti europei). A considerazione di ciò, tale congresso è considerato il primo vero momento federale europeo.
I lavori della conferenza si articolarono in tre commissioni: quella culturale, che produsse un documento che prevedeva l’istituzione di un Centro europeo dell’infanzia e della gioventù e di un Centro europeo della cultura; quella economica, che si proponeva la creazione di un’unione economica europea; quella politica, che, nonostante le differenti concezioni dell’europeismo dei federalisti (che facevano riferimento al Manifesto di Ventotene e tendevano all’organizzazione di poteri sovranazionali, sul modello degli Stati Uniti) e degli unionisti (che invece puntavano ad intese intergovernative), riuscì a raccogliere un consenso unanime in favore della costituzione di un’assemblea parlamentare europea, formata da delegati designati dai vari Parlamenti nazionali.
Un anno dopo, nel maggio 1949, dieci Paesi (Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda e Svezia) si misero d’accordo per la creazione di un Consiglio d’Europa, con sede a Strasburgo. Il Consiglio comprendeva un’Assemblea consultiva e il Comitato dei ministri, composto dai ministri degli Esteri dei paesi membri. Una delle più importanti realizzazioni da parte del Consiglio fu, nel novembre 1950, l’approvazione a Roma della Convenzione per la difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che comportò l’istituzione della Corte europea dei diritti dell’uomo, avente sede anch’essa a Strasburgo e con il compito di giudicare le violazioni dei diritti fondamentali nei paesi membri del Consiglio.
La dichiarazione Schuman e la nascita della CECA
I primi passi verso la costruzione europea vanno probabilmente ricercati nel plurisecolare antagonismo franco-tedesco, iniziato agli albori del Cinquecento con le ostilità franco-asburgiche, passando per quelle franco-prussiane e culminando con l’unificazione della Germania prima, nel 1871, e le due guerre mondiali in ultimo. Seppur la Germania uscì dalla Seconda guerra mondiale annientata come potenza militare, ciò non rese la politica francese meno timorosa nei confronti del paese limitrofo; anzi, ne temeva una nuova possibile ascesa economica e militare e si adoperava, perciò, affinché gli storici rivali rimanessero in una condizione di inferiorità internazionale.
Non essendo possibile, per la Francia, frenare i progetti europeistici inclusivi per la nuova Repubblica Federale Tedesca (RFT), decise di giocare d’azzardo e puntare su una partnership franco-tedesca: dando vita ad un rapporto bilaterale, stabilito su basi contrattuali, la Francia sostituì ad una prospettiva di subordinazione quella di controllo sulla Germania.
In questo contesto, alle ore 16:00 del 9 maggio 1950, nella Sala dell’Orologio al Quai d’Orsay a Parigi, il ministro degli esteri francese Robert Schuman proponeva la gestione comune del settore carbo-siderurgico, dichiarando: ”La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile.”
A meno di una anno dalla celebre Dichiarazione, nella stessa sala, il 18 aprile 1951, Schuman per la Francia, il cancelliere Adenauer per la Germania dell’Ovest, i ministri degli esteri Carlo Sforza per l’Italia, Paul van Zeeland per il Belgio, Dirk Stikker per l’Olanda e Joseph Bech per il Lussemburgo apponevano le loro firme sul Trattato per la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Questi sei stati firmatari avrebbero beneficiato della libera circolazione del carbone e dell’acciaio e quindi del libero accesso alle fonti di produzione. Il trattato entra de facto in vigore il 25 luglio 1952 e introduce, come più importante novità, l’istituzione di un’Alta autorità sovranazionale per la gestione delle due materie prime, con i compiti di vigilanza sul mercato, monitoraggio del rispetto delle regole della concorrenza e garanzia della trasparenza dei prezzi. Ad essa si affiancano altre tre istituzioni: un’Assemblea, composta da 78 membri; un Consiglio dei ministri, formato da sei rappresentanti dei governi nazionali; una Corte di Giustizia, composta da 7 giudici di nomina comune degli stati aderenti alla CECA. A presiedere l’Alta Autorità fu scelto Jean Monnet, politico francese tra gli ideatori della Dichiarazione Schuman.
Il fallimento della CED
In seguito all’invasione nel 1950 della Corea del Sud, filoccidentale, da parte di quella del Nord, sotto governo comunista, gli Stati Uniti intrapresero una politica di riarmo e rafforzamento del potere militare dell’Alleanza atlantica in Europa.
Il governo francese, non ancora pronto ad accettare una rimilitarizzazione della Germania, propose di estendere alla materia militare il principio di contenimento attraverso la creazione di un esercito europeo, composto da unità plurinazionali e sotto il comando di un ministro della Difesa comune, a sua volta sottoposto al controllo di un’assemblea parlamentare. In questo modo, alla RTF veniva concesso di disporre di un solo esercito, esclusivamente sovranazionale.
L’accordo tra i sei paesi della CECA fu trovato il 27 maggio 1952, che a Parigi sottoscrissero un nuovo trattato, da cui nacque la Comunità europea di difesa (CED). Questa nuova istituzione comprendeva un Collegio di commissione, un Consiglio dei ministri, un’Assemblea e una Corte di giustizia.
Cruciale fu la richiesta del presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi di inserire nel trattato una disposizione, l’articolo 38, che affidava all’Assemblea della CED il compito di elaborare proposte riguardanti l’evoluzione della comunità verso un assetto istituzionale a carattere federale o confederale – e perciò la costituzione di un potere sovranazionale. Al momento della ratifica di tale articolo, però, il governo francese fece un passo indietro, a causa di scontri sia all’interno delle proprie forze politiche che all’interno dell’opinione pubblica: così il 30 agosto 1954 il parlamento francese bocciò in via definitiva la CED.
Da Messina a Roma
Dopo tale insuccesso, la costruzione dell’Europa ripartì dal piano economico. Tra le proposte per il “nuovo inizio”, due emersero con più forza: l’idea di Monnet e Spaak (ministro degli Esteri belga), che prevedeva l’estensione delle competenze della CECA al settore trasporti, al settore delle altre energie convenzionali e ad una nuova comunità per la ricerca e la produzione di energia atomica; l’idea di J.W. Beyen (ministro degli esteri olandese) di adozione di una tariffa unica sulle importazioni dal resto del mondo e la riduzione graduale dei dazi sul commercio tra i sei componenti della CECA. I governi di Belgio, Lussemburgo e Olanda sottoposero ai partner un piano d’azione, nel maggio 1955, che combinava entrambe le proposte e prevedeva la nascita di una comunità economica fondata sul mercato comune.
La proposta venne discussa dai Sei i primi giorni del mese di giugno, in una Conferenza tenutasi tra Messina e Taormina – riconosciuta poi come occasione di “rilancio dell’Europa” – di cui promotore fu il nuovo ministro degli esteri italiano, il messinese Gaetano Martino. In quell’occasione si decise di istituire un comitato di tecnici, presieduto da Spaak, che decise di seguire due vie: da un lato, la costituzione di una comunità settoriale per la ricerca nel campo del nucleare e lo sfruttamento dell’energia atomica; dall’altro lato, il passaggio ad un’unione doganale e al mercato comune dei prodotti industriali e agricoli. Queste proposte vennero accolte da una nuova conferenza dei Sei, tenutasi a Venezia a fine maggio 1956, che stabilì l’avvio di un negoziato intergovernativo per la preparazione dei due trattati che daranno vita, il 25 marzo del 1957, alla Comunità europea per l’energia atomica (EURATOM) e alla Comunità economica europea (CEE) o anche definita Mercato comune europeo (MEC): i famosi Trattati di Roma, considerati l’atto di nascita della grande famiglia europea.