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La prima mossa del governo Meloni: la legge di bilancio

Il testo, approvato dal Consiglio dei Ministri nella tarda serata di lunedì, verrà inviato alla Commissione europea per essere valutato ed entrerà in vigore solo dopo aver completato l’iter in Parlamento ed essere stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. La scadenza è fissata al 31 dicembre.

Alla fine, il grande giorno è arrivato. Lunedì sera, al termine di una giornata di incontri preliminari con le forze di maggioranza, il Consiglio dei Ministri si è riunito e, dopo più di tre ore, ha approvato il testo dell’attesa “manovra”, la legge di bilancio. Le tempistiche per il varo definitivo, che avevano destato grandi preoccupazioni in tutti gli osservatori, sono strettissime: entro il 30 novembre il testo dovrà essere inviato alla Commissione europea, ed entro il 31 dicembre dovrà essere completato l’iter parlamentare e il testo definitivo dovrà essere pubblicato in Gazzetta ufficiale, così da entrare in vigore il 1° gennaio del nuovo anno.

Le premesse non erano delle migliori. I margini economici estremamente ristretti, le tante promesse fatte in campagna elettorale di difficile realizzazione, grandi pressioni dai leader dei partiti di governo, necessità restare saldamente entro il proprio solco ideologico: insomma, il rischio che la legge di bilancio si trasformasse in un fattore di crisi all’interno della maggioranza e di divisione nell’opinione pubblica era alto, ma in parte è stato scongiurato. Anche perché, a dispetto di quanto affermato da Meloni in conferenza stampa, non si pone in netta discontinuità con l’operato del governo Draghi.

Certo, ad alcune di quelle promesse l’esecutivo ha dato spazio – e si può essere o non essere d’accordo sull’indirizzo ideologico – ma bisogna riconoscere il merito di aver voluto – e, certo, dovuto – rispettare i conti pubblici, trovando le coperture necessarie all’interno delle risorse dello Stato e non “facendo deficit”, come invece aveva gridato Salvini in campagna elettorale.

Caro bollette e crisi energetica

I soldi messi sul piatto dal governo sono, in totale, 35 miliardi di euro, e ben 21 di questi saranno destinati ad aiutare i privati e gli imprenditori a fronteggiare il caro energia. Sotto alcuni aspetti, il provvedimento si pone in continuità con i decreti Aiuti del governo Draghi: fino a marzo 2023 saranno ancora azzerati gli oneri di sistema e verranno erogati bonus una tantum ai nuclei familiari con redditi bassi (con Isee fino a 15mila euro e non più 12mila). Sono invece potenziati gli aiuti alle imprese, che vedranno alzarsi l’aliquota per il credito d’imposta: 45% per le aziende cosiddette “energivore” (con un consumo medio di energia elettrica di almeno 1 GWh annuo), 35% per quelle con consumi al di sotto dei 16,5 Kw. Per quanto riguarda il gas ad uso domestico, l’Iva verrà abbassata al 5%.

Aumenterà invece il prezzo della benzina. La manovra ha deciso per la diminuzione del taglio sulle accise sui carburanti, che il governo Draghi aveva fissato a 25 centesimi (30, calcolando anche la relativa diminuzione delle entrate dall’Iva), e che il governo Meloni ha abbassato a 15 centesimi (poco più di 18 effettivi). Chissà che ne pensa Salvini, che negli anni, per aumentare il proprio consenso, ha promesso a più riprese di eliminare del tutto le accise sul carburante.

Il mondo del lavoro: reddito di cittadinanza, taglio del cuneo fiscale, flat tax

Le misure in materia di salari e lavoro sono tra quelle che hanno infiammato la campagna elettorale. Il centro-destra a più riprese ha detto di voler riformare e rendere più efficace il reddito di cittadinanza, ma velatamente ha promesso di abolirlo. E dalle bozze che sono circolate nelle scorse settimane, sembrava che tale prospettiva dovesse trasformarsi in realtà da subito. Alla fine, però, il governo ha scelto per un approccio più soft.

Il reddito di cittadinanza, almeno per il 2023, sopravviverà, ma non per tutti. La manovra prevede una graduale eliminazione dell’assegno per tutti gli “abili” al lavoro – persone tra i 18 e i 59 anni senza disabili, minori o anziani a carico –, che percepiranno il reddito ancora per 8 mesi ma dovranno seguire corsi di formazione o riqualificazione e dovranno accettare la prima offerta di lavoro adeguata, pena la perdita del sussidio. Tutti gli altri, invece, fino al 2024 continueranno a percepire l’attuale reddito di cittadinanza, mentre dal 2024 verranno adottati nuovi metodi di sussidio.

Altro punto della Finanziaria che ha aperto un acceso dibattito è stato quello relativo al taglio del cuneo fiscale. Anche in questo caso, il governo attuale si è posto in continuità con quello precedente, che aveva ridotto il cuneo di due punti fino a 35.000 euro lordi annui di reddito. Su questa base, Confindustria aveva fatto pressioni affinché di questa decontribuzione si avvantaggiassero anche le aziende, e sembrava che il provvedimento andasse in questa direzione. Saranno rimasti delusi gli imprenditori di fronte al testo: aumento della forbice di un punto percentuale a favore delle retribuzioni più basse (fino a 20.000 euro), che si tradurrà in un aumento del netto nella busta paga, e mantenimento dei due punti fino ai 35.000 euro, tutto a favore dei dipendenti.

Le imprese, tuttavia, non resteranno a bocca asciutta, ma godranno di nuovi vantaggi in materia fiscale. Su tutti, diventa realtà la tanto attesa flat tax, anche se limitata a quelle aziende con ricavi fino a 85.000 euro. Ma non è l’unica misura presa a favore delle imprese: altri vantaggi dal punto di vista fiscale riguardano un’aliquota unica al 15% sull’incremento dei guadagni rispetto ai tre anni precedenti (fino a 40.000 euro) e la diminuzione dal 10% attuale al 5% dei contributi sui premi di produttività fino a 3.000 euro. Inoltre, per favorire l’occupazione giovanile e il reinserimento dei disoccupati, è prevista una decontribuzione assoluta per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani under-36 e di percettori del reddito di cittadinanza.

Infine, ci saranno interventi anche in materia pensionistica, nonostante siano nuovamente transitori e non strutturali. Il centro-destra, e in particolare la Lega, ha intrapreso ormai da tempo una crociata contro la legge Fornero, e quando ha partecipato al governo ha sempre posto il suo superamento come obiettivo principale di azione politica. Finora non ci è riuscita, perché anche per il 2023 ci sarà una misura transitoria, la cosiddetta “Quota 103”: per andare in pensione anticipata, dall’anno prossimo serviranno almeno 62 anni di età e 41 di contributi. Sono state anche nuovamente prorogate Opzione donna (pensione anticipata, in base all’età e ai figli, con 35 anni di contributi maturati entro il 31 dicembre) e Ape sociale (pensionamento a 63 anni per i lavoratori disoccupati e con famigliari conviventi con disabilità gravi con almeno 30 anni di contributi; dipendenti con 36 anni di contributi che abbiano svolto lavori pesanti o usuranti).

A favore delle famiglie o della natalità?

Visti i punti forti del programma elettorale del centro-destra, non potevano mancare in legge di bilancio le agevolazioni per le famiglie, numerose e non. Misure, tuttavia, che suonano molto come un incentivo alla natalità.

In particolare, è previsto l’allargamento dell’assegno unico universale stabilito dal governo Draghi anche alle famiglie con un solo figlio, mentre a quelle con più di tre figli è riservato un aumento del sussidio mensile pari al 100% (da 100 a 200 euro). Ed è prevista dalla legge di bilancio anche una «carta risparmio» per le famiglie più povere e il taglio dell’Iva al 5% su tutta una serie di prodotti per l’infanzia, dai pannolini ai biberon – ma non su generi alimentari primari quali pane, pasta e latte, che per giorni è stata più che una semplice idea. Passa, infine, anche l’Iva al 5% sugli assorbenti.

Diverse agevolazioni sono state pensate per rendere più semplice il “mestiere” del genitore, sempre nell’ottica di promuovere la natalità. Così, al congedo di maternità è stato aggiunto un mese (facoltativo) ai 5 attuali, retribuito all’80%, entro i sei anni di età del figlio. E a conferma di come il nuovo governo abbia una visione tradizionalista della famiglia e del ruolo della donna al suo interno, l’argomento della paternità non è stato preso in considerazione: resta in vigore la norma introdotta in legge di bilancio nel 2021 da Draghi, la quale ha reso obbligatorio un congedo di paternità di 10 giorni retribuito al 100% entro i primi cinque mesi di vita del figlio; dopodiché, al padre resta un giorno di congedo facoltativo senza decurtazioni di stipendio, che è però legato alla scelta della madre di non utilizzare un giorno di congedo di maternità.

No, questa non è lotta all’evasione fiscale

In manovra ha trovato spazio anche il cavallo di battaglia della Lega, la pace fiscale. Anche se Meloni ha ribadito che è una «tregua fiscale» e non un condono, mai nei fatti si tratta proprio di un mini-condono. Perché tutte le cartelle inferiori a 1.000 euro emesse dal 2000 al 2015 verranno semplicemente cancellate, mentre per quelle superiori a tale cifra è prevista una rateizzazione di 5 anni senza sanzioni o interessi: insomma, come se il debito con lo Stato fosse stato appena contratto. Per le cartelle più recenti, infine, solo una sanzione minima del 5% oltre all’importo dovuto, e anche in questo caso con la possibilità di rateizzazione.

È poi stato inserito il famoso aumento del limite all’uso dei contanti, che dal 1° gennaio diventerà di 5.000 euro invece di scendere a 1.000 euro, come aveva previsto l’esecutivo Draghi.

Insomma, se non si tratta di un regalo agli evasori, poco ci manca. E come spesso ha fatto, Meloni ha cercato di addolcire il boccone amaro, ribadendo che «lo spirito da cui muoviamo è un rapporto diverso tra Stato e contribuente: lo Stato non è più aggressivo e punitivo ma giusto e comprensivo verso chi è in difficoltà». Una beffa per chi, pur in difficoltà, ha sempre onorato i suoi impegni con la collettività. Perché questo significa pagare le tasse: dare il proprio contributo, in base alle proprie possibilità, per il bene comune del Paese e dei concittadini.

E chi della collettività se ne infischia, non pagando le tasse ma usufruendo dei servizi che quelle tasse servono a garantire, meriterebbe di essere sanzionato con durezza e non di ricevere comprensione.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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