Palermo, 15 gennaio 1993. Ore 8.30.
In viale Bernini, da qualche giorno, è parcheggiato un furgone. Non è un buon segno. È ancora fresco il ricordo dell’autobomba che, parcheggiata a bordo strada, ha ucciso Paolo Borsellino e la sua scorta in via D’Amelio. E l’autostrada sventrata dal tritolo a Capaci, i corpi di Falcone, di Francesca Morvillo e della scorta.
Quel furgone, però, ha un altro scopo. È delle forze dell’ordine, ha una telecamera nascosta. È lì per portare a termine l'”operazione Belva”: la cattura del “capo dei capi” di Cosa Nostra, il ricercato numero uno d’Italia. Colui che, quegli omicidi, li ha ordinati. Salvatore “Totò” Riina.
Riina è latitante da 23 anni, dal 10 dicembre 1969, quando partecipa all’esecuzione del boss Michele Cavataio nella strage di viale Lazio. Ma non ha mai abbandonato Palermo. È passato da un covo all’altro, ben protetto dalle armi dei suoi sgherri, dall’omertà dei suoi sodali. Perché un capo mafia non abbandona mai il proprio territorio, il proprio “feudo”. La fonte del proprio potere.
Lo sa bene Baldassarre Di Maggio. È stato l’autista di Riina, prima che nelle grazie boss finisse Giovanni Brusca, l’esecutore materiale dell’attentato a Falcone. Con lui, Di Maggio aveva pessimi rapporti. E questo, nel mondo mafioso, significa morte certa. Fugge al Nord, allora, Di Maggio. Ma l’8 gennaio 1993 lo raggiungono i Carabinieri. E lo riportano a Palermo.
Lui parla. Fa i nomi delle persone vicino a Riina e dei luoghi dove lo ha incontrato, nel corso degli anni. Dà l’indirizzo dell’ultimo rifugio del boss. Un complesso residenziale in viale Bernini 54. Gli fanno vedere i video. E lui riconosce i figli di Riina.
È parcheggiato lì davanti il furgone. Dentro c’è il capitano “Ultimo” con altri uomini del ROS dei Carabinieri. E Baldassarre Di Maggio. A un tratto, esce un’auto dal cancello. Di Maggio riconosce l’autista, Salvatore Biondino, e il passeggero. È lui, Totò Riina. Il furgone viene messo in moto. Segue la Citroën di Riina. E, a un paio di chilometri di distanza, su Viale Regione Siciliana, la ferma. Biondino e Riina non oppongono resistenza.
Il 15 gennaio 1993 finisce la latitanza di Totò Riina. E, con essa, anche la fase “stragista” di Cosa Nostra. Ci sarà ancora un ultimo rigurgito, con le bombe che, tra maggio e giugno, colpiranno Firenze, Milano e Roma.
Ma questa è un’altra storia. Che, forse, Matteo Messina Denaro, arrestato dopo trent’anni di latitanza, potrà aiutare a chiarire.