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G20 Bali: Taiwan rischia davvero l’invasione di Pechino?

l'incontro tra Xi e Biden è un segnale positivo per provare ad allentare le tensioni. Sottolineando, al tempo stesso però, che se i rapporti tra le due superpotenze sono così deteriorati, le possibilità per Taiwan di evitare in un futuro scontri armati si prospettano quantomeno remote.

Stando alle previsioni del CSIS, Center for Strategic and International Studies, l’ipotetico intervento militare o non, volto però all’annessione forzata dell’isola di Taiwan alla Repubblica Popolare Cinese, causerebbe un effetto boomerang per Xi Jinping, sempre assumendo che Taiwan abbia le capacità militari per mettere in campo una operazione di tale portata.

Le origini delle tensioni tra Taiwan e Cina

Le radici del caso della Repubblica di Cina (Rdc), comunemente nota come Taiwan, risalgono alla fine del 1800 in seguito all’annessione di Taiwan al dominio Giapponese, in seguito al successo dei nipponici nella guerra contro l’Impero Cinese; la vittoria del Giappone segnò la fine del millenario “Impero Celeste“, con la caduta della Dinastia Qing nacque la Repubblica di Cina, capeggiata dal partito nazionalista Kuomintang.

Al termine della seconda guerra mondiale, in conseguenza allo schieramento Giapponese sul fronte nazista, l’isola di Taiwan tornò sotto l’egemonia Cinese e il Kuomintang vi estese così il regime di amministrazione militare. Ne conseguì una oltremodo sanguinosa guerra civile, da un fronte le forze neonaziste di Kuomintang, dall’atro il partito comunista guidato da Mao Zedong.

Il “Grande TimoniereZedong trionfò sulle forze neonaziste, proclamando la nascita della Repubblica Popolare Cinese; sopraffatto il leader nazionalista Chiang Kai Shek ripiegò verso Taiwan, portando con se tutte principali risorse economiche del paese e proclamando l’isola “Repubblica di Cina“, con il conseguente sdegno del nuovo governo nel continente, che dichiarò illegittimo il governo nazionalista Taiwanese.

Le conseguenze ipotizzabili dell’intervento Cinese a Taiwan oggi

Proviamo per un moneto ad addentrarci nel mondo della fantageopolitca, assumiamo che la Repubblica Popolare Cinese, spronata e ispirata dall’attuale confusione internazionale, di attuare il tanto agognato piano militare per riannettere l’isola di Taiwan all’egemonia di Pechino.

Supponendo che effettivamente dei contingenti militari Cinesi sbarcassero e riuscissero a sopraffare la resistenza Taiwanese, le conseguenze per l’amministrazione di Xi Jinping minerebbero seriamente il ruolo che la Cina promette di conquistare da anni sul piano internazionale.

In primo luogo il colosso asiatico si troverebbe quasi sicuramente isolata diplomaticamente ed economicamente dalle principali economie avanzate, gettando nel baratro non solo la credibilità internazionale del Presidente a vita Xi Jinping, ma la stessa efficacia, attraverso una sequenza causa effetto, dell’intero Partito Comunista Cinese.

Particolarmente degno di note è il fatto che un eventuale attacco cinese a Taiwan avrebbe un impatto straordinario sull’economia globale, colpendo soprattutto i partner e gli alleati statunitensi nella regione. Alleati che però sono anche in varie forme partner, soprattutto commerciali, della Cina.

Il ruolo degli USA nella questione Taiwanese

Gli Stati Uniti d’America si trovano dunque, oltre a tentare di garantire la pace in Europa, a dover scongiurare che Pechino prenda in considerazione attivamente un attacco a Taiwan, perché stando agli analisti ci sarebbero alcune correnti vicine ai vertici del PCC che potrebbero spingere il presidente Xi a non agire più secondo un criterio di costi-benefici, criterio che ad oggi rimane l’unico ostacolo all’invasione dell’isola, essendo Pechino estremamente consapevole delle conseguenze che aspetterebbero la forense economia cinese.

Nuovi risvolti sarebbero invece scaturiti dalle consultazioni dei leader mondiali al vertice del Gruppo dei 20 a Bali. In questa sede il Presidente americano Joe Biden, stando alle indiscrezioni, si sarebbe definito persuaso da un maggiore controllo della situazione, dichiarando ai microfoni degli inviati Bali: “Non credo che ci sia alcun tentativo imminente da parte della Cina di invadere Taiwan”.

Le dichiarazioni del capo della Casa bianca confuterebbero la data un tempo fissata per l’aggressione cinese da vari analisti americani, ovvero il 2027, il centenario della fondazione dell’Esercito di Liberazione popolare; la divisone  “worst-scenario” del Pentagono avrebbe indicato questa data addirittura prima, entro il 202372024.

Biden ha aggiunto che la dottrina degli Stati Uniti su Taiwan non è mai cambiata, e Washington non è alla ricerca di un conflitto con la Cina. “La prossima volta che ci incontreremo discuteremo quelle che sono le linee rosse per i nostri due Paesi, cercando di risolvere eventuali punti su cui siamo in disaccordo: sono sicuro che parleremo anche di Taiwan, come di altre questioni globali come il commercio o i rapporti di Pechino con altri Paesi della regione”; queste le parole dell’inquilino della Casa Bianca a due settimane dall’incontro dei 20 a Bali.

A posteriori invece Biden avrebbe invece dichiarato che lanciarsi in un’invasione sarebbe “un’operazione militare molto difficile da eseguire, e penso che ci vorrà del tempo prima che i cinesi abbiano le capacità militari per farlo”.

In definitiva sembra chiaro che dell’invasione cinese ai danni dell’isola Taiwanese bisognerebbe preoccuparsene in termini di “quando accadrà” e non “se accadrà”, d’altronde Pechino si interessa unicamente dei costi-benefici dell’eventuale invasione; sebbene oggi i costi per la Cina superino abbondantemente gli ipotetici benefici, chi può dire quali saranno gli equilibri internazionali da qui a pochi anni, considerando anche il ruolo dell’Europa che oggi cammina su un filo di lana.

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