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Diritti negati: il (non) voto dei fuori sede

Dimenticati da ogni legislatura in nome di iniziative sempre più urgenti, la questione dei fuorisede torna alla ribalta in prossimità di ogni tornata elettorale. Si tratta di studenti e lavoratori a cui, in assenza di modalità alternative, viene negato di fatto il diritto costituzionale a esprimere il proprio voto. E la politica, ancora una volta, sta a guardare, lamentandosi dell’elevato astensionismo giovanile ma senza rendersi conto (o forse senza volerlo fare) di essere essa stessa a impedire a una fetta consistente di cittadini di esercitare i propri diritti.

4,9 milioni di persone, circa il 10% degli aventi diritto. È questo il numero di cittadini, principalmente di età compresa tra i 18 e i 35 anni e residenti al Sud Italia, che anche a queste elezioni rischiano di non poter esercitare il proprio diritto a votare perché lontani dal proprio luogo di residenza per motivi di studio o di lavoro. E che non potranno nemmeno usare l’escamotage di farsi nominare rappresentanti di lista, come ai referendum, per votare nei luoghi di domicilio. Perché l’attuale legge non prevede, per i residenti in Italia ma domiciliati fuori dal proprio comune di residenza, di poter esprimere il proprio voto per le elezioni amministrative (ma anche regionali e comunali).

Il voto fuorisede in Europa

Un paradosso, se si pensa che gli italiani residenti all’estero dal 2001, per effetto ed entro i limiti stabiliti dalla legge “Tremaglia” (legge 27 dicembre 2001, n. 459) il proprio voto possono esprimerlo a distanza, per corrispondenza.

All’estero, inoltre, sono già presenti meccanismi di voto a distanza. In Europa solo l’Italia, assieme a Malta e Cipro, non prevede metodi di voto per i fuorisede: in Francia esiste il voto per delega; in Grecia il voto anticipato; in Germania, Spagna e Irlanda quello per posta; in Svezia e in Ungheria convivono due di queste tre modalità e in Polonia sono presenti addirittura tutte e tre. Ma un Paese che si pone veramente all’avanguardia è l’Estonia, primo Paese al mondo dove è stato possibile votare telematicamente.

In Italia, insomma, l’unico modo per un fuorisede è quello di tornare “a casa”, affrontando lunghi, faticosi e, in alcuni casi, logisticamente difficili viaggi, sobbarcandosene pure le spese. Certo, per gli elettori sono a disposizione tariffe agevolate sulle compagnie ferroviarie (Trenitalia, Italo, Trenord), sugli aerei di bandiera (ITA Airways), sui pedaggi autostradali e sulle compagnie marittime (Compagnia Italiana di Navigazione, GNV, Grimaldi Euromed, Società navigazione Siciliana e NLG – Navigazione Libera del Golfo).

Ma non basta: oltre al fatto che, seguendo la logica del mercato, i costi aumentano quando maggiore è la richiesta, non è accettabile che non sia garantito a tutti i cittadini di poter esercitare un diritto costituzionale allo stesso modo, a prescindere dalla situazione economica.

La difficile situazione degli studenti fuorisede

Perché se è vero che non sempre i costi dei viaggi sono elevati, non bisogna dimenticare che molti dei fuorisede sono studenti, senza lavoro o con lavori precari, per i quali tornare a casa a votare può voler dire dover scegliere tra un testo universitario e il biglietto del treno, oppure dover chiedere i soldi ai genitori dai quali ci si cerca di emancipare.

Non è però questa l’unica difficoltà degli studenti fuorisede per partecipare a questa tornata elettorale. Al fattore economico si aggiunge quello logistico, determinato dalla data prevista per le elezioni. Fine settembre, infatti, per quasi tutti gli studenti universitari italiani significa sessione d’esame, di laurea o inizio delle lezioni. Inoltre, poter votare un solo giorno, domenica 25, invece che su due, scoraggia e rende ancora più complicata l’organizzazione di viaggi che possono rivelarsi anche molto lunghi.

Così, molti cittadini che studiano o lavorano fuori dal proprio comune di residenza, anche quest’anno, come è già successo per le passate elezioni, non voteranno: sono i cosiddetti “astenuti involontari”, categoria che andrà a mescolarsi con tutte le altre persone (oltre il 27% il 4 marzo 2018, e a questa tornata elettorale ne sono previste di più) che rinunceranno a presentarsi alle urne per scelta.

Una condizione diversa dai fuorisede, che il diritto/dovere di eleggere i propri rappresentanti vogliono esercitarlo, ma ai quali questa possibilità è spesso preclusa.

Storie fuorisede

È il caso di Martina, che a Torino è graphic designer per una web agency ma ha la sua residenza a Messina. Di fronte alle difficoltà logistiche del viaggio in treno – 19 ore e mezza di viaggio all’andata con tre cambi e notte sul treno, 10 ore di permanenza a Messina e 18 ore di viaggio di ritorno, per un totale di 90 euro – e ai costi degli aerei di ritorno – attualmente 170 euro all’andata e 310 euro (!!) per il ritorno, entrambi con scalo a Roma, per volare su Catania –, Martina ha scelto (ma dovremmo chiederci se avesse effettivamente possibilità di scegliere) di non andare a votare.

Anche Carla, studentessa all’Università di Torino, non è potuta scendere nella sua Ostuni e presentarsi al collegio elettorale, perché il giorno dopo il voto avrebbe dovuto presentarsi, di mattina presto, in aula a sostenere un esame. Lo Stato l’ha obbligata a scegliere di esercitare un diritto rinunciando contestualmente a un altro: quello di realizzare il proprio futuro e quello di votare.

Non torneranno a votare nella loro Lipari nemmeno Chiara e Rossella, rispettivamente studentessa di Giurisprudenza alla Bocconi di Milano e medico specializzando al Niguarda: oggi, il volo più economico da Milano Linate a Catania costa 120 euro e il ritorno 284 euro. Senza contare, poi, il viaggio dall’aeroporto di Catania al porto di Milazzo (2 ore e nessuno sconto per le elezioni) e poi l’aliscafo da Milazzo a Lipari (1 ora). Ovviamente, andata e ritorno. E calcolando con precisione gli orari di arrivo e di partenza di ogni coincidenza, perché l’ultimo aliscafo che collega Milazzo alle isole parte alle 19.10.

Ne ha tenuto conto Consuelo, studentessa e lavoratrice precaria a Torino, quando ha prenotato i biglietti per tornare a casa, a Lipari. Per risparmiare sul volo ha dovuto prenotare il 17 agosto con Ryanair, che non ha previsto tariffe scontate per gli elettori sui voli nazionali, un volo nella tardissima serata di sabato da Torino a Palermo, dove potrà appoggiarsi a familiari. Ripartirà per Milazzo domenica mattina, sfruttando la tariffa “elettori” di Trenitalia (valevole solo su tratta andata e ritorno) e, tempo permettendo, metterà piede sull’isola attorno alle 13 di domenica. Durata totale del viaggio? 14 ore, per poi ripetere il tragitto all’inverso appena un paio di giorni dopo. Ma almeno è riuscita a spendere “solo” 70 euro per questa odissea, cosa che invece non era stata possibile per tutte le tornate elettorali dal 2014 in poi.

Ma non tutti hanno la fortuna di poter spezzare il viaggio e ridurre così i costi (i voli nazionali su Palermo costano mediamente meno rispetto a quelli, ad esempio, su Catania Fontanarossa), così come non tutti hanno avuto la fortuna di potersi organizzare con i propri datori di lavoro per potersi assentare un paio di giorni in più. È il caso di Giulia, che lavora a Milano e nell’acquisto dei suoi biglietti aerei non è riuscita a usufruire degli sconti della compagnia di bandiera, complice una procedura quasi assurda per accedervi: «l’offerta è valida esclusivamente acquistando online da questa pagina previa accettazione dei cookies analitici e consentendo l’apertura del pop-up nelle impostazioni del browser» – per quale motivo? Gabriele, invece, che lavora a Roma, a Lipari non riuscirebbe fisicamente a tornare perché lunedì mattina lo aspettano a lavoro e, senza un appoggio notturno sul “continente”, non arriverebbe in tempo.

Riuscirà invece a tornare a casa, a Benevento, Annachiara, psicoterapeuta a Torino, che ha sfruttato lo sconto speciale di Italo e ha preso un biglietto andata e ritorno fino a Napoli Afragola, spendendo meno di 50 euro. Ma, non bisogna dimenticarlo, sono pur sempre 12 ore di treno totali, senza contare il tragitto Napoli-Benevento.

Insomma, anche nella migliore delle ipotesi, chi deciderà di esercitare il proprio fondamentale diritto a votare, dovrà accettare di sostenere costi non indifferenti, tanto a livello economico quanto a livello fisico ed emotivo.

Le spinte provenienti dalla società civile

Si sente spesso lamentare la scarsa partecipazione alla vita politica dei giovani, il loro disimpegno verso la vita comunitaria, la loro frivolezza. Dopo aver letto queste storie, invece, ci si rende conto che non è così, o almeno non per tutti. “L’Espresso” ha dedicato la copertina di due recenti numeri proprio all’Agenda Generazione Z (n. 33, 21 agosto 2022) e agli Esclusi dal voto (n. 35, 4 settembre 2022), i fuorisede e tutti quei giovani che sono nati e/o cresciuti in Italia, ma a cui la legge italiana non permette di prendere la cittadinanza.

Questo attivismo, dettato dalla volontà di far sentire la propria voce e il proprio peso nella società, è testimoniato dall’avvio di iniziative nella società civile che hanno portato all’attenzione della politica la questione dei cittadini fuorisede.

Mi riferisco al comitato civico “Iovotofuorisede” nato nel 2008 a Genova che, come illustra il sito, ha l’obiettivo di «sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del diritto di voto per i cittadini in mobilità e si batte per far approvare una legge che garantisca il diritto di voto di coloro che vivono lontano dalla loro residenza» e di «allineare gli standard democratici del nostro Paese a quelli degli altri Paesi europei».

Dalla sua nascita, il comitato Iovotofuorisede ha portato avanti diverse battaglie, e alcuni risultati li ha raggiunti: per i referendum del 2011 ha lanciato l’iniziativa “Battiquorum”, che ha permesso a circa 40.000 cittadini in mobilità di farsi nominare rappresentanti di lista e votare a distanza; nel marzo 2022 ha depositato un ricorso contro la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Interno presso il tribunale di Genova a nome di cittadini che non hanno potuto votare alle politiche del 2018, in modo da sollevare la questione dell’incostituzionalità dell’attuale legge elettorale – la prima udienza, però, sarà l’11 novembre.

Nel marzo 2021, assieme ad altre realtà come l’associazione no-profitThe Good Lobby Italia”, il comitato “Iovotofuorisede” ha dato vita alla Rete Voto Sano da Lontano per rendere più incisiva la propria azione.

Proposte per il voto fuori sede

La Rete Voto Sano Da Lontano ha avuto infatti il grande merito di dare avvio alla macchina politica sul problema del voto fuorisede. Appena un mese dopo la sua costituzione – per la precisione il 9 aprile 2021 –, infatti, al Parlamento viene presentata una proposta di legge, a prima firma del Presidente della Commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia (M5S), che avrebbe permesso ai fuorisede «aventi diritto» di «esercitare il proprio diritto di voto presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo situata nel territorio del comune in cui hanno eletto il proprio domicilio». Una proposta che il Viminale, inspiegabilmente, blocca quasi sul nascere.

Ma il processo non si interrompe. Nel dicembre 2021 il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico d’Incà, ha istituito una Commissione di esperti per studiare il fenomeno dell’astensionismo, i cui risultati sono stati pubblicati nel libro bianco sull’astensionismo Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto. Al suo interno è presente una proposta, definita “interessante” per il comitato “Iovotofuorisede” dall’avvocato del comitato stesso Simone Pitto in una recente intervista a SkyTg24, che prevede l’introduzione di un election pass (un certificato elettorale digitale) e il «voto anticipato presidiato presso un seggio speciale» (appositi uffici postali) per garantire la segretezza del voto e il trasferimento sicuro delle schede.

Poi, nel maggio di quest’anno, dopo che il Governo ha bloccato la sperimentazione del voto elettronico (che però non avrebbe modificato l’ordinamento legislativo in materia di voto), era stato avviato l’iter per la presentazione di una nuova legge che permettesse ai fuorisede di votare a distanza, ma la crisi di governo ha bloccato tutto, ancora una volta.

Quindi, come abbiamo visto, le soluzioni ci sarebbero. I più malevoli diranno, come si legge tra i commenti di un post su Instagram, che basterebbe prendere la residenza nel posto dove si vive ma gli studenti preferiscono «pagare gli affitti in nero». Tralasciando l’incomprensibile salto logico, bisogna mettere dei punti fermi.

Primo: per gli studenti esistono specifici contratti d’affitto transitori che non permettono di trasferire la propria residenza, ma solo il domicilio.

Secondo: spostare la propria residenza significa uscire dal nucleo familiare, e non è detto che sia una condizione desiderabile per tutti. Inoltre, le università riservano borse di studio e agevolazioni destinate appositamente agli studenti fuorisede.

Terzo, e forse più importante: se il lavoratore o lo studente si sposta temporaneamente o per brevi periodi al di fuori del proprio comune di residenza ha il sacrosanto diritto di scegliere se spostare o meno la propria residenza, il «luogo in cui la persona ha la dimora abituale» (art. 43 Codice civile) o solo il domicilio, il luogo in cui la persona «ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi» (ibidem).

E, in quest’ultimo caso, se rimane entro i confini nazionali non può esprimere il proprio voto, mentre spostandosi all’estero, paradossalmente, potrebbe, perché nel 2016 è stata modificata la legge Tremaglia, dando la possibilità di votare all’estero, per corrispondenza, anche ai cittadini italiani che, «per motivi di lavoro, studio o cure mediche, si trovano, per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento della medesima consultazione elettorale, in un Paese estero in cui non sono anagraficamente residenti».

In ogni caso, lo Stato ha il dovere di garantire a tutti i suoi cittadini, in egual modo, l’esercizio dei propri diritti, ancor di più se presenti nella carta costituzionale. Allo stato attuale delle cose, però, non è così.

Ancora una volta, com’è già sul tema dell’aborto, nei fatti ci troviamo di fronte a diritti negati.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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