È già passato un anno dall’invasione russa in Ucraina. Un anno di guerra. Un anno di devastazione, di morte, di terrore. Ma anche un anno di resistenza, di insperate vittorie, di solidarietà, di sostegno. Il primo – e, si spera, ultimo – anno di guerra è scivolato via, e in Italia ha dato vita a reazioni ambivalenti. Se in molti sono rimasti scioccati e inorriditi, abbiamo ancora tutti nelle orecchie le polemiche per il videomessaggio che la Rai avrebbe voluto proiettare durante il festival di Sanremo. O le parole di Berlusconi, che a più riprese ha accusato l’Ucraina e ridimensionato il ruolo della Russia nello scoppio del conflitto.
Ci ha pensato Meloni a spegnere definitivamente le critiche. Lunedì mattina, la premier è arrivata a Kiev, come aveva annunciato da tempo. Dove, solo il giorno prima, Biden si era recato a sorpresa, per ribadire – come se non lo dimostrasse già con i fatti – il pieno sostegno all’Ucraina in questa guerra. E Meloni si è accodata. Rinsaldando la posizione atlantista dell’Italia nello scacchiere internazionale. E promettendo implicitamente di “tenere a bada” i due alleati di governo, Berlusconi e Salvini, ai quali Putin sta decisamente più simpatico.
Ordinaria amministrazione
Se il viaggio di Meloni a Kiev è stato certamente il fatto politico più rilevante della settimana, l’ordinaria attività di governo è andata avanti. E, come la politica ci ha abituati, con una certa turbolenza.
Sono infatti proseguite le critiche, provenienti dalla stessa maggioranza, alla decisione del governo di interrompere il Superbonus edilizio. Una misura che era stata varata dal vecchio governo, che non era sostenibile per le casse dello Stato, ma che mette seriamente a rischio decine di migliaia di posti di lavoro. Il tavolo di lavoro avviato con i sindacati, Confindustria e le associazioni delle categorie interessate (banche, costruttori edili) non ha dato risultati soddisfacenti. Al momento, la decisione del governo non cambia: stop ai bonus e alla cessione dei crediti di imposta.
È passato alla Camera il testo del decreto-legge Carburanti, su cui il governo ha posto la fiducia. I distributori, in città e in autostrada, saranno obbligati a esporre il prezzo medio del carburante, ma sono ridotte le sanzioni rispetto al testo originario: da 200 a 2.000 euro di multa e chiusura dell’attività da uno a trenta giorni se la violazione viene commessa quattro volte in due mesi. Ora il testo passa in Senato per la definitiva approvazione, che dovrà avvenire entro il 15 marzo.
È stato invece promulgato il decreto Milleproroghe. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha firmato, ma con riserva, a causa delle norme sui balneari. Il testo, infatti, prevedeva la proroga delle attuali concessioni e non l’indizione di bandi di concorso – come invece stabilisce una sentenza del Consiglio di Stato e gli accordi presi dall’Italia con l’Europa per l’erogazione dei fondi del Pnrr.
Parole che fanno scalpore
A “scaldare” la settimana ci hanno pensato anche il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, e il ministro dell’Istruzione Valditara. Il primo, intervistato da Francesca Fagnani nel programma Le Belve, ha assunto posizioni francamente inaccettabili, se espresse dalla seconda carica dello Stato – anche se ha poi provato a raddrizzare il tiro sottolineando che il contesto in cui è avvenuto il discorso non era istituzionale.
Ma a sollevare un vero polverone è stato il ministro Valditara, che d’altronde non è nuovo a scivoloni. Questa volta, però, ha passato il segno. Tutto inizia sabato 18 febbraio. A Firenze, di fronte al liceo “Michelangiolo”, tra sei militanti di Azione studentesca e due del collettivo di sinistra del liceo scoppia la violenza – la dinamica ancora non è chiara. Le immagini sono brutali, i due ragazzi del collettivo hanno la peggio. Tre giorni dopo, il 21 febbraio, la preside del liceo “Leonardo Da Vinci”, la dottoressa Annalisa Savino, decide di inviare una circolare a tutte le persone che gravitano attorno alla sua scuola: studenti, famiglie, personale. Un gesto non dovuto, che denota estrema sensibilità della dottoressa Savino e senso del ruolo istituzionale ed educativo che ricopre. In questa lettera, la preside ha rievocato il clima in cui il fascismo è nato, l’indifferenza delle “persone comuni” di fronte alla violenza quotidiana, l’«incertezza» e la «sfiducia collettiva nelle istituzioni». Concetti che sono stati manipolati e trasformati in “ritorno del fascismo” e “attacco squadrista”, e di cui alcune aree della sinistra si sono appropriati, alzando prepotentemente il livello dello scontro.
Valditara, giovedì 23 febbraio, dopo giorni di silenzio sull’accaduto, ha deciso di esprimersi. Ci si sarebbe aspettati una condanna dell’aggressione, che è avvenuta di fronte a un tempio della cultura, dell’inclusione, della democrazia, solidarietà nei confronti dei ragazzi aggrediti, l’assunzione dell’impegno di intervenire in prima persona per chiarire tutta la vicenda. Invece, il ministro ha pensato bene di attaccare la dottoressa Savino, definendo la sua lettera «del tutto impropria» perché «non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista».
Di tutto ciò che ha detto il ministro, solo quest’ultima frase è condivisibile: in Italia oggi non c’è un vero rischio di tornare al fascismo, ma è comunque intollerabile che nella società ancora serpeggino simpatia e ammirazione verso quel regime. Mentre a una deriva autoritaria e violenta si assiste da anni, e chi lo nega o non è attento a ciò che lo circonda, o è in malafede. Sempre più frequenti sono gli episodi di intolleranza: etnica (l’assassinio dell’ambulante nigeriano Alika Ogorchukwu, l’attentato di Luca Traini a Macerata), di genere (tra 2020 e 2022 sono stati 298 i femminicidi), o più semplicemente violenza gratuita (l’assassinio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro per mano dei fratelli Bianchi). Accusando l’iniziativa della preside come «strumentale», che esprime «una politicizzazione che auspico non abbia più posto nelle scuole», Valditara ha dimostrato di essere lui stesso vittima di politicizzazione. Perché l’appello della preside aveva un obiettivo preciso: ricordare il passato e invitare i ragazzi a scrollarsi di dosso la paura e l’indifferenza, a partecipare, a lasciarsi coinvolgere dal mondo circostante. Intollerabile, infine, la chiusa del ministro: «se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure». Una minaccia, e nemmeno troppo velata.
Quasi tutta Italia – tranne, com’è facilmente immaginabile, il governo e i partiti di maggioranza, che ancora non si sono espressi né sulla violenza di sabato 18 febbraio, né sulle parole di Valditara – è esplosa: è stata annunciata un’interrogazione parlamentare, sono state chieste le dimissioni del ministro e, stando alle parole del sindaco di Firenze, Dario Nardella, «c’è una grande voglia di manifestare questo dissenso, di organizzare una grande manifestazione pacifica, non violenta, non aggressiva» per difendere il mondo della scuola e «abbassare un po’ i toni».
Ad abbassare i toni – che si sono ulteriormente alzati quando il ministro Valditara ha provato a negare l’innegabile – ci ha pensato Sergio Mattarella. Durante la cerimonia di consegna degli attestati ai nuovi Alfieri della Repubblica, il Presidente ha chiamato l’episodio di sabato con il suo nome: violenza. Contro cui «la vera diga sono i comportamenti positivi», la «civiltà», la «solidarietà», «l’interesse e la cura per gli altri», i «valori della comunità».
Aggiornamenti sull’anarchico Cospito
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del legale di Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame da più di quattro mesi. Cospito resterà al 41bis, nonostante le precarie condizioni di salute. Al momento è nel reparto di medicina penitenziaria dell’ospedale San Paolo di Milano, dove aveva ricominciato ad assumere alcuni – pochi – integratori. Ma il verdetto di oggi lo ha spinto a sospenderli di nuovo, inasprendo lo sciopero della fame.
La morte inaspettata di Maurizio Costanzo
Chiudiamo con un messaggio di cordoglio per la scomparsa di Maurizio Costanzo. Un grande giornalista e, soprattutto, un grande uomo. Che ha letteralmente “fatto” la tv, con programmi iconici come “Buona Domenica” e il “Maurizio Costanzo Show” che sono entrati nelle case di tutti gli italiani. E momenti celebri, come la maglietta con scritto “Mafia made in Italy” data alle fiamme in diretta. Scelta che porterà Cosa Nostra a provare ad ammazzarlo con il tritolo – l’attentato, per fortuna, non andò a segno.