Questa è stata una settimana molto importante per i progetti di governo del nuovo Presidente del Consiglio. Giorgia Meloni, infatti, lunedì si è recata in Algeria per mettere importanti tasselli a quello che ha definito il suo “piano Mattei”. Al centro del progetto, stipulare nuovi accordi con i Paesi africani sul tema dei rifornimenti energetici, privilegiando l’Africa come partner economico. In questo modo, ha dichiarato l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, entro l’inverno del 2024-25 l’Italia sarà energeticamente indipendente da Mosca. Nello specifico, il piano è quello di raddoppiare le importazioni di gas e iniziare a importare anche gas liquido, in modo da poterlo poi redistribuire agli altri Paesi europei. L’Italia, così, si trasformerebbe in un hub di distribuzione dal Nord Africa all’Europa. Per questo, sono stati firmati tra i due Paesi accordi, che prevedono l’incremento dei trasporti dall’Algeria e la costruzione di un nuovo gasdotto per l’idrogeno.
Anche il ministro degli esteri Tajani è andato in missione in Egitto. Ma le sue parole sul caso di Giulio Regeni, ucciso al Cairo il 25 gennaio 2016, hanno fatto discutere: il ministro ha assicurato che Al-Sisi, il dittatore egiziano, gli ha garantito il massimo impegno per fare luce sul caso. Ma il comportamento dell’Egitto, dei suoi organi di pubblica sicurezza e della magistratura in questi anni hanno dimostrato l’esatto contrario.
Meloni e Tajani si sono ritrovati oggi, assieme al ministro degli Interni Piantedosi e i vertici di Eni, in Libia. Dove il colosso energetico italiano ha firmato, con l’omologo libico, un accordo storico, da 8 miliardi di euro, per aumentare la produzione di gas e rendere più incisiva la presenza in Africa dell’Italia. Che, secondo Meloni, «può e vuole giocare un ruolo importante anche nella capacità di aiutare i Paesi africani a crescere e a diventare più ricchi». La presenza di Piantedosi lascia supporre che si sia trattato anche il tema dei migranti, che proprio in questa settimana è tornato prepotentemente alla ribalta.
In mezzo a tutti questi impegni, che danno una precisa idea del ruolo che Meloni ha in mente per l’Italia nel Mediterraneo, martedì 24 gennaio la Camera ha votato a favore della proroga degli aiuti militari all’Ucraina fino al 31 dicembre di quest’anno.
Geo Barents e il decreto Ong
Mercoledì mattina, la nave Geo Barents di Medici Senza Frontiere ha deviato la rotta verso il porto di La Spezia, che gli era stato assegnato dal governo italiano per terminare le operazioni di salvataggio di 171 persone, per rispondere a un allarme naufragio: 66 persone, tra cui diverse donne e minori, rischiavano di morire in mare. Ma, così facendo, ha violato il nuovo decreto che impedisce alle navi delle Ong di compiere più salvataggi in sequenza. «Il salvataggio e il naufragio» sono occasionali, ha argomentato il ministro Piantedosi, e non «ricerca sistematica», che favorisce le partenze illegali. Ma l’Ong rivendica la superiorità del diritto del mare, che obbliga a rispondere a qualsiasi richiesta d’aiuto – come, d’altronde, anche il senso di umanità impone.
D’altro canto, non sono mancate le voci di condanna alle dinamiche che questo nuovo decreto impone: dopo aver salvato le persone in mare, la nave è costretta a recarsi al porto indicato dalle autorità per completare le operazioni di salvataggio, anche se questo è molto lontano dai luoghi dove la nave opera, o dove è chiamata a operare. È l’argomentazione che ha posto anche la nave Ocean Viking, quella finita al centro della bufera scoppiata tra Italia e Francia. Dopo un salvataggio di 95 persone nel mezzo del Mediterraneo, alla nave è stato assegnato il porto di Carrara, distante 1.500 chilometri e con previsioni meteo critiche.
La commissione Affari Costituzionali, comunque, ha rigettato gli emendamenti che la Lega aveva proposto la decreto contro le Ong, che avrebbero ristretto i già risicati confini della legge Bossi-Fini.
Le intercettazioni e la riforma della giustizia
Continua a tenere banco, e ad accrescere le tensioni all’interno della maggioranza, la questione della riforma della giustizia, iniziata dopo le dichiarazioni del Guardasigilli Carlo Nordio sulle intercettazioni all’indomani dell’arresto di Matteo Messina Denaro. Domenica Salvini aveva creato alcune tensioni, affermando che i contrasti tra politica e magistratura dovevano finire. Dall’Algeria, Meloni ha ribadito la sua vicinanza al ministro Nordio e ne ha difeso l’operato, così come ha fatto anche Berlusconi, che si è detto molto favorevole alla riforma della giustizia.
Al rientro da Algeri, Meloni e Nordio si sono incontrati e il premier ha chiesto al suo collega di gettare acqua sul fuoco, che la riforma si farà, ma più avanti, quando il clima sarà più sereno. Così, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, Nordio ha spento le critiche, ribadendo che l’indipendenza della magistratura dal potere politico non è in discussione, anzi rimane un valore centrale nel sistema italiano. Le stesse parole le aveva pronunciate pochi giorni prima il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Rimanendo in tema giustizia, la destra ha ottenuto un importante risultato. Fabio Pinelli, proposto dalla Lega, è stato votato come vicepresidente laico del Consiglio superiore della Magistratura.
Fattori di rischio
Hanno invece creato qualche imbarazzo le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara – un fattore che, purtroppo, sta caratterizzando il suo mandato. Il ministro, infatti, ha prospettato la possibilità di introdurre stipendi differenziati ai docenti, da rapportare al costo della vita. E, contestualmente, l’ingresso di finanziamenti privati nella scuola pubblica. Proposte che hanno, giustamente, attirato enormi critiche, soprattutto sulle possibili conseguenze di simili provvedimenti: l’aumento delle disuguaglianze tra Nord e Sud da un lato, dall’altro, l’inserimento dei privati in un settore come quello della scuola rischierebbe di esporlo a interessi altri rispetto a quelli pedagogici dello Stato.
Altra proposta che ha fatto saltare in piedi le opposizioni è stata la proposta di legge, depositata il 13 ottobre scorso dal viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, di modificare il Codice penale e reintrodurre il carcere per il reato di atti osceni in luogo pubblico. In modo da «contrastare in maniera più adeguata il degrado morale che affligge la nostra collettività».
Maternità e sessualità
Questa settimana è scoppiato un altro caso che finora era restato all’oscuro, chiuso nei reparti ospedalieri. L’8 gennaio, un bimbo di appena tre giorni viene trovato morto nel letto d’ospedale della madre, che si è addormentata mentre lo allattava, sfinita da dieci ore di travaglio. Dieci minuti di black out, ha detto la madre, di cui non ricorda nulla. Ma ricorda bene le molte richieste di aiuto al personale dell’ospedale Sandro Pertini di Roma rimaste inascoltate. Da quel momento, si sono moltiplicate le testimonianze di donne che hanno subito violenza ostetrica: dai rifiuti degli infermieri di praticare anestesie epidurali nei parti più dolorosi alle carenze nell’assistenza delle madri ai rifiuti di praticare parti cesarei.
E, sempre in tema, sono arrivate inaspettate anche le parole di Papa Francesco ai giornalisti di Associated Press: «essere omosessuali non è un crimine». Una frase storica, che segna un netto cambio di direzione dalle posizioni che tradizionalmente ha assunto la Chiesa. Chissà che anche la politica non possa rifletterci sopra.
Chiudiamo ricordando che questa settimana si è celebrato, il 27 gennaio, il Giorno della Memoria per le vittime della Shoah. A cui è dedicata la puntata settimanale della rubrica Hi, Storia!