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Benjamin Netanyahu in Israele: le pressioni per porre fine alla Democrazia nel Paese

Benjamin Netanyahu, che presto dovrebbe tornare in carica come primo ministro israeliano, persevera nel suo tentativo di riunire un governo con ultranazionalisti di estrema destra.

Benjamin Netanyahu, il premier più longevo nella storia d’Israele è incaricato di formare il suo sesto governo dopo le elezioni del 2 novembre, gli ostacoli posti per formare la coalizione necessaria alla formazione dell’esecutivo rischiano di minacciare il già precario stato di diritto democratico Israeliano.

Chi è stato Benjamin Netanyahu per Israele

Netanyahu è stata una figura israeliana dominante dell’ultimo mezzo secolo, che ha prestato servizio prima come commando d’élite, poi come politico dell’opposizione e infine come primo ministro per un totale di 15 anni, più di qualsiasi altro leader nella storia del suo paese.

Durante il suo periodo senza potere ha completato un libro di memorie, intitolato “Bibi“, che è il suo soprannome. Ha parlato con NPR del libro mentre gestiva i colloqui di coalizione, un compito per il quale ha insistito specificare, non essere di suo gradimento.

“Tutta la politica è crudele”, ha detto. “La politica israeliana è più crudele della maggior parte. Sono stato sottoposto, in particolare la mia famiglia, a denigrazione senza fine perché continuo a vincere le elezioni”.

La necessità di una legge ad personam

Knesset, il parlamento monocamerale di Israele, composto da 120 membri, si trova oggi a discutere l’approvazione di una legge necessaria a Benjamin Netanyahu per soddisfare le condizioni poste dai suoi partner di coalizione per entrare nel governo.

La Costituzione Israeliana infatti, impedisce a un membro della Knesset condannato alla reclusione di presiedere un ministero; le condizioni impossibilitano quindi Netanyahu alla coalizione con Shas, un partito politico israeliano che rappresentante principalmente gli ebrei ultra ortodossi sefarditi e mizrahì.

Risulta quindi necessaria una legge che renda possibile la nomina a ministro di Arye Dery, il condannato che guida il partito, lo stesso Drey in realtà nella fase processuale avrebbe garantito il proprio ritiro definitivo da ogni attività politica all’interno del paese, condizione necessaria allo sconto di pena, ridotto al solo pagamento di una multa, prevista dalla sentenza nei confronti del Leader di partito.

Allo scempio in corso nelle sedi parlamentari israeliane, si aggiunge l’ulteriore condizione posta da Otzma Yehudit, ossia la sottomissione della Polizia di Israele al leader del partito Itamar Ben-Gvir, discepolo del rabbino Meir Kahane.

Lo sgomento per l’arrendevolezza di Benjamin Netanyahu

Yossi Verter, prestigioso osservatore politico commenta cosi la trattativa per la formazione del governo: “A sei settimane dalle elezioni, sembra che nessuno metta in discussione una cosa, stiamo assistendo ai negoziati di coalizione più fallimentari di sempre, condotti dal primo ministro israeliano più esperto di sempre.”

Continuando poi con un monito: “Persino i suoi fan più accaniti, che di solito hanno difficoltà a trovare difetti nel comportamento di Benjamin Netanyahu e spiegano ogni suo zig-zag come una manovra sofisticata, sono rimasti imbarazzati da questa dimostrazione di debolezza, di capitolazione e di arretramento”.

Le critiche verso lo storico Primo Ministro Israeliano sono feroci, non solo per il tragico ritardo per la formazione del governo, ma anche e sopratutto per la natura dei negoziati posti in essere, un passo lungo e ben disteso verso la morte della Democrazia nel Paese; il Partito di Netanyahu, sgomentato, comincerebbe quindi a dubitare delle reali capacità del presidente incaricato di sostenere le pressioni dei suoi “estorsori”.

Le implicazioni per il conflitto Israelo-Palestinese

Sommerso dalle pressioni emerse come conseguenza dell’apparente inadeguatezza a formare il nuovo governo, Benjamin Netanyahu avrebbe rilasciato alcune dichiarazioni in merito ai rapporti con la martoriata Palestina

“La mia formula è molto semplice, l’unica pace che manterremo è quella che possiamo difendere, lo scenario che possiamo garantire è quello in cui i palestinesi hanno tutti i poteri per autogovernarsi, ma nessuno per minacciare la nostra vita, il che significa che la sicurezza, in qualunque accordo politico realistico, dovrà rimanere nelle mani di Israele“.

Indubbiamente le posizioni fortemente anti-palestinesi non sono mai mancate nelle iniziative politiche di Netanyahu; l’inasprimento di tale sentimento sarebbe tuttavia da imputare alle pressioni impostegli per la formazione della coalizione con il partito “Shas“, un organizzazione estremamente nazionalista, ma sopratutto sionista all’inverosimile.

Netanyahu ha poi aggiunto che la posizione del suo nuovo ipotetico esecutivo rispetta in realtà una condizione di continuità con il suo operato nei precedenti mandati; riferendosi poi al Presidente Americano avrebbe detto: “mi rivolgo direttamente a Joe Biden, amico da 40 anni, quando era vicepresidente, passò un periodo in Israele, in quell’occasione mi disse:-Ma Bibi, questa non è completa sovranità-, io risposi: “Hai ragione, Joe, ma è l’unico che durerà”.

Sarebbe ipocrita riconoscere a Israele meriti tangibili nel tentativo di raggiungere la Pace nella Regione, altrettanto ipocrita tuttavia sarebbe non riconoscerli a quelle poche persone che si sono battute per la Pace con la Palestina nello stesso Parlamento Israeliano, come lo scomparso Abraham Yehoshua, o lo stesso David Grossman; quel barlume di speranza per un Israele più equo e umano si è spento tristemente, il Conflitto nella “Terra Santa” sembra oggi più che mai dover essere eterno.

 

 

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