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Se il Parlamento si trasforma in una tribuna elettorale

Il confronto in Parlamento tra Meloni e Schlein ha reso evidente che, per costruire un dialogo, ci vorrà molto impegno.

Mercoledì è andato in scena alla Camera il question time, il primo di questa legislatura. Un format piuttosto interessante, un momento di confronto e dialogo importante. In pratica, ogni parlamentare ha diritto a porre un quesito al Presidente del Consiglio; questi risponde e, infine, l’interrogante ha diritto a replicare. Tema libero.

Il momento più atteso, di cui si parlava da giorni sui giornali, è stato il primo faccia a faccia tra le due donne al comando: la premier, Giorgia Meloni, e la nuova segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein. Per lei era il primo appuntamento istituzionale nella nuova veste di leader dell’opposizione. Ciò che ci ha colpiti, invece, è stata la totale assenza di dialogo tra le due parti.

L’inconsistenza sui temi di Schlein

Ci si sarebbe aspettato che Schlein chiedesse conto della catena di comando che ha portato alla strage di Cutro, che incalzasse Meloni sulle responsabilità esecutive e politiche del naufragio. Schlein, invece, ha usato il suo spazio per tenere un vero e proprio comizio elettorale. Per compattare attorno a sé i compagni di partito. Per dimostrare a tutti gli altri quale sarà la linea del Pd da ora in avanti. E ha puntato tutto sul tema del lavoro: salario minimo e congedo parentale.

Il problema, nell’intervento di Schlein, è duplice. Da una parte, c’è la sostanza del suo discorso. La segretaria del Pd si è profusa in un lungo elenco di numeri, percentuali, categorie: dei contratti collettivi firmati, di quanto è diminuito il salario in Italia. Tutto perfetto.

Se fosse stata a un comizio elettorale. Di fronte ai suoi sostenitori. Invece, il luogo e l’occasione avrebbero richiesto un intervento diverso. Votato al dialogo. Proposte concrete, invece di slogan: non “vogliamo il salario minimo”, ma “introduciamo il salario minimo in questo modo, con queste coperture, assieme a queste altre misure”; non “estendiamo il congedo parentale”, ma “usiamo le risorse in questo modo per farlo”.

Risposte che non soddisfano

Sulla debolezza delle parole di Schlein si è avventata Meloni. Che, nella sostanza, ha risposto: il salario minimo non lo introdurremo mai perché non rafforza i lavoratori; anzi, li penalizzerebbe perché darebbe l’occasione ai datori di lavoro di ritoccare i salari al ribasso. Meglio, invece, potenziare la contrattazione collettiva. E, stoccata finale, se la situazione è quella che è, è colpa del Pd, che quando ha potuto non ha fatto niente.

Difficile ribattere, nel poco tempo dato alle repliche. Ecco perché Meloni ha vinto, sul piano comunicativo. Una lezione a cui questo governo ci ha abituato da molto: risposte aggressive, fatte di mezze verità, linea di ragionamento semplice – che spesso si rivela errata. Ma, a mente fredda e con un po’ più di spazio, si può rispondere.

Dunque, è vero che introdurre il salario minimo sarebbe uno svantaggio per i lavoratori?

Ovviamente, non è così. Il salario minimo non cancellerebbe la contrattazione collettiva. Se un contratto collettivo stabilisce, ad esempio, che la paga oraria per un cameriere è di 9 euro lordi all’ora, introdurre un salario minimo di 8 euro non significherebbe permettere al proprietario di un ristorante di pagare 8 euro i propri camerieri. Perché il contratto collettivo glielo impedisce. Il salario minimo andrebbe a coprire tutte quelle categorie per le quali un contratto collettivo non esiste, o che fissa un salario nettamente insufficiente.

Questo Meloni l’ha omesso. Quindi ben venga potenziare il ruolo dei sindacati e della contrattazione collettiva, ma dire che un salario minimo spingerebbe i datori a pagare meno il proprio dipendente è una bugia bella e buona.

Purtroppo, non siamo nuovi a questo genere di modus operandi. Il centro-destra è così contrario al salario minimo perché preferisce andare incontro alle istanze del ceto medio imprenditoriale flat tax e della “pace fiscale” – piuttosto che tutelare i lavoratori dipendenti e precari. Un discorso che tornerà tristemente di moda tra qualche settimana, quando ci avvicineremo alla stagione estiva e i luoghi turistici inizieranno il reclutamento del personale per la stagione. Proprio su questo punto specifico, Schlein ha incassato gli unici punti dell’incontro. Ricordando a Meloni che, mentre la destra è così ossessionata nei confronti dell’immigrazione, i salari bassi e le poche tutele continuano a far scappare i nostri giovani all’estero, dove hanno la possibilità di immaginare e costruirsi un futuro che l’Italia rende difficile realizzare.

Poi, è vero che il Pd ha governato – o è stato in maggioranza – a lungo negli ultimi vent’anni, ma dovrebbe ricordarsi che nell’ultima legislatura la Lega è stata al governo per ben due volte, e Forza Italia ha sostenuto l’esecutivo Draghi. Inoltre, anche Berlusconi non è un novellino, in fatto di guida del Paese: dal 2001 al 2006 e dal 2008 al 2011 c’era lui, al posto di Meloni.

Viene da chiedersi se sia giusto, dalla sedia di Meloni, delegittimare le opposizioni così, mentendo sapendo di mentire. O meglio, dimenticandosi alcuni passaggi volutamente. No, non lo è.

Ma finché il Parlamento verrà usato come una tribuna elettorale, il dialogo tra gli “eletti dal popolo” sarà impossibile.

E a rimetterci, saranno gli interessi del Paese.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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