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La crisi del 2008

Nell’autunno del 2008 si scatenò negli USA una crisi economica paragonabile alla Grande Depressione degli anni ’30 che scaturì da una speculazione incontrollata del mercato immobiliare: a causa di una diffusa insolvenza dei possessori di mutui l’intero sistema bancario statunitense rischiò il tracollo e, conseguentemente, lo stesso pericolo si profilò per tutto il sistema economico.

Nella Europa della neonata Unione gli effetti della Grande recessione arrivarono nel 2011 e in Italia investirono governo Berlusconi. La politica reagì sostituendovi il governo tecnico Monti e applicando quelle politiche neoliberiste, come l’austerity, la flessibilità, la privatizzazione, il taglio della spesa pubblica, andando ad anticipare il pareggio di bilancio al 2013, che l’Unione Europea chiedeva da tempo all’Italia. L’intera società italiana, già vittima di un lento declino, fu duramente colpita: i lavoratori sentirono sempre di più il peso delle dei mercati, della concorrenza delle multinazionali, della delocalizzazione e dei licenziamenti di massa; i ceti medi subirono una progressiva perdita di ricchezza e di status; le nuove generazioni videro il proliferarsi una vita sempre più precaria e incerta nonostante il generale aumento dei livelli di istruzione; le vecchie generazioni provarono sulla propria pelle la riduzione delle politiche pubbliche.

In questo scenario in continua mutuazione la politica italiana stava velocemente dividendosi tra i politici legati alla tradizione della Seconda Repubblica e i nuovi attori.

I vecchi volti e la tecnocrazia

Per tutta la Seconda Repubblica i partiti tradizionali persero la loro forte connotazioni ideologica, andando a adattarsi a un elettorato sempre meno fidelizzato e sfuggente. In questa nuova politica i partiti diventarono sempre di più legati a singole personalità piuttosto che a correnti di pensiero politico; la capacità di parlare direttamente agli elettori in modo trasversale, attraverso i grandi mezzi moderni di comunicazione come la TV, divenne sempre più una necessità per vincere la competizione elettorale. Allo stesso modo, questa nuova forma di fare politica si allontanò sempre di più dalla società: i continui scandali di corruzione, di trasformismo politico e l’inefficienza di formule politiche che non erano in grado di risolvere la crisi aumentarono il comune sentimento della società di percepire tali soggetti come una casta che portava avanti unicamente i propri interessi.

L’11 novembre 2011 Berlusconi dovette dimettersi dal suo governo quando lo spread – la differenza di rendimento tra il rendimento di un titolo decennale italiano e il suo omonimo tedesco –, che indicava lo stato di salute dei conti pubblici e dell’affidabilità di quel paese per gli investitori e i mercati, toccò punte vertiginose a causa degli effetti della Grande recessione.

Dal governo Monti i partiti tradizionali, di centro-destra o di centro-sinistra, si adeguarono all’idea che la crisi del mercato globale dovesse essere superata con strumenti tecnici e non attraverso la politica. Questo potere della competenza dei tecnici creò una tecnocrazia che oggi è ancora una delle proposte della politica contemporanea. Dal governo Letta del 2013, che seguì quello tecnico di Monti, i partiti tradizionali seguirono rigorosamente le politiche neoliberiste dell’Unione Europea.

I nuovi volti e il populismo

Nelle elezioni del febbraio del 2013 si affermò il Movimento 5 Stelle di Grillo e Casaleggio con circa il 26% dei voti. Questo fatto si spiega sia con i duri effetti del governo tecnico di Monti sull’intera società italiana, sia con la crisi di legittimità e del vuoto politico dei partiti tradizionali. Tale movimento ha mosso i suoi primi passi nel 2005 attraverso un blog, creando aggregazioni nel mondo reale tramite piattaforme social; in seguito, è entrato nella politica manifestando nelle piazze in occasione dei V-Day, mobilitando i propri seguaci nella difesa dell’acqua pubblica, a sostegno della mobilità sostenibile e delle piste ciclabili.

La grande novità politica del M5S fu l’introduzione di elementi di democrazia diretta attraverso l’uso della rete, permettendo agli iscritti del movimento di dire la loro e di scegliere i propri candidati; tuttavia, dobbiamo parlare piuttosto di una democrazia commissaria perché, più che un ritorno del cittadino alla politica attraverso la rete, il sistema auspicato instaura un controllo, degli elettori e del garante del M5S, sugli eletti e sulle istituzioni.

Il M5S è espressione del populismo contemporaneo. L’idea che poggia alla sua base è che la volontà dei cittadini possa essere direttamente esposta tramite la rete e che il popolo, la gente comune estranea alla corruzione della casta dei partiti tradizionali, debba ritornare alle istituzioni per salvare le sorti del paese.

Il secondo volto del populismo italiano, con il quale il M5S ha formato un’alleanza di governo nel 2018, è la Lega di Salvini, ex Lega Nord di Bossi. Questo “nuovo” partito, dopo l’esperienza del governo Monti, si è fatto portatore sia dei temi della sinistra tradizionale, come la difesa dei lavoratori e delle protezioni sociali, sia della destra tradizionale, come la difesa dell’aziende, la difesa dell’Italia dai diktat di Bruxelles e la conservazione della sua “cultura”, delle sue “tradizione” e dei suoi vecchi “valori cattolici”, a loro detta “minacciati” dall’immigrazione.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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