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Il periodo socialista di Mussolini

18 ottobre 1914.

«La realtà si muove e con ritmo accelerato. Abbiamo avuto il singolarissimo privilegio di vivere nell’ora più tragica della storia del mondo. Vogliamo essere – come uomini e come socialisti – gli spettatori inerti di questo dramma grandioso? O non vogliamo esserne – in qualche modo e in qualche senso – i protagonisti? Socialisti d’Italia, badate: talvolta è accaduto che la “lettera” uccidesse lo “spirito”. Non salviamo la “lettera” del Partito se ciò significa uccidere lo “spirito” del Socialismo!».

La “lettera” cui Benito Mussolini, direttore dell’organo ufficiale del Partito socialista «L’Avanti!», si riferiva nel suo pungente articolo era la «neutralità assoluta» adottata dal partito come linea ufficiale di fronte alla guerra. Mussolini, quella linea, voleva cambiarla, imprimere una svolta all’interno del Psi in senso interventista e rivoluzionario. Due giorni dopo, a Bologna, la direzione del Partito respingeva la linea di Mussolini. Senza aspettare una rimozione dall’alto, il 21 ottobre Mussolini scriveva che «in seguito alle decisioni della Direzione del Partito, ho rassegnato le dimissioni da direttore dell’“Avanti!” […] con serenità, con orgoglio e con fede immutata!».

Mussolini, però, non si era perso d’animo. Il 15 novembre usciva il primo numero del nuovo giornale da lui fondato, «Il Popolo d’Italia». Nell’editoriale, scriveva che «dei malvagi e degli idioti non mi curo. Restino nel loro fango i primi, crepino nella loro nullità intellettuale gli ultimi. Io cammino!». Si rivolgeva poi ai «giovani d’Italia […] voi che appartenete alla generazione cui il destino ha commesso di “fare la storia” […] Il grido è una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: GUERRA!».

Di fatto, questi articoli avevano firmato la sua espulsione dal Partito, che fu decretata ufficialmente il 24 novembre 1914 dalla sezione milanese del Psi. Finiva così l’esperienza socialista di Benito Mussolini.

La formazione

Nell’adesione agli ideali socialisti di Benito Mussolini, un ruolo di primo piano lo ebbe il padre, Alessandro, internazionalista tendente all’anarchismo e figura di spicco del socialismo romagnolo. Grazie alla sua mediazione, Benito entrò in contatto con il pensiero marxista e iniziò a leggere e frequentare ambienti socialisti già in giovane età. Ed è a 18 anni, nel 1901, che svolse la prima attività politica vera, dirigendo il circolo socialista di Gualtieri Emilia, piccola cittadina in provincia di Reggio Emilia.

Esperienza importantissima nella sua formazione politica fu il soggiorno in Svizzera, dove Mussolini si rifugiò nel 1902 per sfuggire alla leva militare. Fu qui che il diciannovenne Benito iniziò una carriera politica piuttosto regolare, pubblicando articoli su diverse testate, organizzando conferenze e diventando segretario del Sindacato muratori e manovali di Losanna. Fu un periodo molto fecondo anche dal punto di vista intellettuale: entrò in contatto con la cultura europea e l’ambiente dell’emigrazione politica italiana, essenzialmente socialista (in particolare con Giacinto Menotti Serrati), con il pensiero di Nietzsche e la teoria delle élites di Vilfredo Pareto, ma, soprattutto, con il sindacalismo rivoluzionario di Sorel.

La scalata nel Psi

Alla fine del 1904 Mussolini rientrò in Italia e ricominciò la sua attività di insegnante, senza per questo abbandonare quella del giornalista. La prima esperienza importante all’interno di un giornale la fece nel 1908, a Oneglia, comune amministrato dai socialisti, dove gli fu offerto il posto di direttore de La Voce. Da qui, Mussolini poté continuare a esporre le linee principali del suo pensiero politico, tendente alla critica e alla polemica, i cui bersagli principali erano il parlamentarismo, il militarismo e, più di tutti, il socialismo riformista allora egemone e il clero – critica, quest’ultima, che accompagnò Mussolini fino alla costituzione del suo primo governo, nel 1922. Da quel momento, grazie alla carica esplosiva delle sue parole, e alla fama che già si era fatto di grande oratore, agitatore e uomo d’azione – nell’estate del 1908 partecipò alle lotte bracciantili nella sua Predappio – la sua carriera giornalistica e politica spiccò il volo: trasferitosi a Trento nel 1909, divenne segretario della Camera del Lavoro e direttore del suo organo ufficiale, «L’avvenire del lavoratore»; nel 1910, tornato a Forlì, divenne segretario della sezione socialista locale e, anche qui, direttore del suo giornale, «L’idea socialista», che decise di ribattezzare «La lotta di classe». Come sui segretario, Mussolini diede una direzione ben chiara alla Federazione socialista forlivense, aumentandone il numero degli iscritti e il peso a livello locale, e al Congresso dell’aprile 1911 riuscì a farla diventare autonoma dal Partito.

È nel periodo forlivense che Mussolini maturò un pensiero più propriamente rivoluzionario, mescolando le diverse teorie di cui si era appropriato negli anni precedenti: da Sorel a Blanqui, da Pareto a Nietzsche, dal darwinismo sociale alla fede nella rivoluzione sociale del proletariato. Così, Mussolini indirizzò la sua linea politica nella direzione dei massimalisti, cioè quei socialisti che teorizzavano il raggiungimento del “programma massimo”: la caduta dello Stato borghese e la realizzazione dello Stato socialista attraverso la rivoluzione. Ormai, negli ambienti socialisti, Mussolini era il giovane rivoluzionario in ascesa, e il Congresso di Reggio Emilia del luglio 1912 fu per lui la definitiva rampa di lancio: riuscendo a ottenere l’espulsione di alcuni riformisti, e riproponendo il suo pensiero rivoluzionario, la fazione massimalista riuscì a scalzare i riformisti dalla guida del Partito. Mussolini assurgeva così a leader nazionale, riconosciuto e indiscusso del Psi, ammirato dai rivoluzionari, rispettato dai riformisti e apprezzato da intellettuali democratici come Giuseppe Prezzolini, fondatore e direttore de La Voce – per cui Mussolini scrisse.

Dalla direzione de «L’Avanti!» all’espulsione

La consacrazione definitiva Mussolini la raggiunse nel dicembre 1912, quando fu chiamato a dirigere l’organo ufficiale socialista, «L’Avanti!», a Milano. E anche da questa posizione, si impegnò per imprimere una svolta in senso rivoluzionario al partito, insistendo su quelli che erano sempre stati i suoi cavalli di battaglia: attraverso una pressante campagna di stampa tesa a delegittimare le istituzioni, fomentò le masse proletarie a combattere contro lo Stato borghese per abbatterlo. Questa linea, che fu approvata al Congresso nazionale del Psi del 1914, diede risultati concreti, e lo dimostrarono i numeri: dal 1912, gli iscritti al Psi raddoppiarono e la tiratura del giornale quintuplicò, raggiungendo cifre enormi per l’epoca – 100.000 copie al giorno.

Tuttavia, nel luglio del 1914, a rimescolare le carte intervenne lo scoppio della Prima guerra mondiale, di fronte alla quale il Partito socialista si dichiarò neutrale con la famosa formula «né aderire, né sabotare». Mussolini in un primo momento vi aderì, ma ben presto le sue convinzioni rivoluzionarie, insieme ad altri fattori esterni, quali il sostegno che gli altri partiti socialisti europei diedero alla partecipazione dei loro Paesi alla guerra e le pressioni provenienti da alcuni settori della sinistra, lo convinsero a cambiare posizione e a schierarsi per la guerra.

Torniamo, così, all’incipit di questo contributo, l’articolo pubblicato su «L’Avanti!» il 18 ottobre 1914 (Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante), le dimissioni dalla direzione, la fondazione del «Popolo d’Italia» e l’espulsione dal Partito, il 24 novembre 1914. Nell’edizione dell’«Avanti!» del giorno successivo, 25 novembre 1914, diretto ora dal compagno d’esilio Giacinto Menotti Serrati, la seconda pagina si apriva con un titolone a grossi caratteri: «Contro le menzogne del traditore del Partito». Seguiva il resoconto della riunione che aveva deciso l’espulsione di Mussolini, un lungo articolo di condanna di Giovanni Bacci, un altro di Enrico Bertini, e le deliberazioni favorevoli all’espulsione di Mussolini di una ventina di sezioni socialiste sparse per l’Italia, da Novi Ligure a Macerata, e ancora cinque lettere di compagni che prendevano le distanze da una presunta adesione al «Popolo d’Italia».

Una vera e propria pagina di pubblica derisione, che iniziava con una beffarda citazione del discorso di Mussolini pronunciato a Reggio Emilia, quando fece espellere dal partito personaggi eminentissimi, come Ivanoe Bonomi: «Il Partito socialista pratica le espulsioni perché è un organismo […] Se non corriamo sollecitamente alle difese, gli elementi impuri disgregheranno il Partito, allo stesso modo che i germi patogeni introdottisi nella circolazione del sangue […] finiscono per abbattere l’organismo umano». Ora, l’elemento impuro, il germe patogeno, era diventato lui.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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