Luigi Einaudi nacque a Carrù, in provincia di Cuneo, il 24 marzo 1874 e morì Roma, il 30 ottobre 1961. Insieme a Benedetto Croce fu il maggiore esponente dell’antifascismo liberale ma, a differenza del primo, il suo ambito d’azione era principalmente quello economico – bisogna comunque tenere presente che la dottrina del liberalismo economico affermava la non scindibilità tra libertà politica e libertà economica. Fu, infatti, un importante economista e rivestì il ruolo di governatore della Banca d’Italia, tenne la cattedra di Scienza delle finanze all’Università di Torino e all’Università Bocconi di Milano; fu deputato all’Assemblea costituente nelle liste liberali, ministro del Bilancio e vicepresidente del Consiglio, deputato e senatore in numerose legislature un forte sostenitore dell’Unione Europea. Soprattutto, Einaudi fu il secondo Presidente della Repubblica – il primo eletto dal Parlamento italiano – e ricoprì la carica dal maggio 1948 al maggio 1955.
Einaudi economista liberale
Nel primo dopoguerra, da buon liberale, Einaudi criticò la burocratizzazione dell’economia nata durante la guerra – che però il governo Nitti non aveva intenzione di smantellare –, proponendo di licenziare gli alti funzionari ministeriali preposti al governo dell’economia che, secondo l’economista, gestivano con una mentalità statalista-bolscevica. Einaudi condannò anche l’occupazione delle fabbriche e non esentò da critiche nemmeno l’ultimo governo Giolitti che l’aveva tollerata. Riguardo al socialismo riformista e all’idea di una cogestione delle aziende, l’economista piemontese sostenne che gli operai mai sarebbero stati capaci di collaborare alla gestione dell’azienda.
L’esperienza negativa del corporativismo, dell’autarchia fascista, della pianificazione sovietica e del New Deal rooseveltiano spinsero Einaudi, da liberale classico, a un ritorno all’economia di concorrenza a misura d’uomo: un sistema economico diverso sia da una economia regolata, sia da quel capitalismo monopolistico che aveva spianato la via al totalitarismo degli anni ’20-’30. In questo contesto nacque la polemica con Benedetto Croce, l’altro grande interprete del liberalismo, tollerato in parte dal fascismo. Einaudi negò che si potesse separare il liberalismo politico dal liberismo economico perché rivendicò a quest’ultimo un profondo contenuto morale-filosofico.
Possiamo definire Einaudi un liberale classico perché fu sempre favorevole al decentramento politico e amministrativo e al self-government. Il sistema angloamericano divenne per lui un modello di buongoverno da ammirare e di una vera filosofia, basata, sul piano locale, sull’autonomia delle comunità, e sul piano internazionale sul superamento del mito dello Stato sovrano. Einaudi, volendo superare gli egoismi nazionalistici, fu un fermo sostenitore di un Europa federata in cui gli Stati-nazione avrebbero dovuto rifondarsi dal basso, allontanando il modello di accentramento napoleonico-fascista.
Einaudi politico liberale
Su proposta di Giolitti, Einaudi venne nominato Senatore del Regno nel 1919 e in Parlamento sostenne la necessità di abbandonare ogni forma d’intromissione dello Stato nel mercato e nella vita economica italiana, fatti che erano venuti a crearsi durante la Grande Guerra.
Inizialmente, come molti membri della classe dirigente liberale di quel periodo, egli guardò al fascismo con una speranza dal sapore pragmatico, ma dalla marcia su Roma si ricredette, diventando critico nei confronti di tale esperienza. Nel 1943, dopo l’8 settembre, venne nominato, dal governo Badoglio, rettore dell’Università di Torino, ma in seguito alla formazione della Repubblica di Salò dovette rifugiarsi in Svizzera. Rientrò a Roma alla fine del 1944 e venne subito nominato governatore della Banca d’Italia. Nel 1946 fu eletto deputato all’Assemblea costituente per il Partito Liberale Italiano (Pli) e dal 31 maggio 1947 fece parte del governo nella veste di Vicepresidente e Ministro del Bilancio.
In qualità di ministro della Repubblica del governo De Gasperi, Einaudi agì per porre fine all’inflazione, garantire stabilità monetaria e risanare il bilancio statale. Per ottenere ciò agì attraverso inasprimenti fiscali e tariffari, svalutò la lira per favorire le esportazioni e il rientro di capitali e limitò la circolazione della moneta. Gli effetti furono che la lira recuperò potere d’acquisto, i capitali esportati rientrano in Italia, i ceti medi riacquistarono fiducia e i lavoratori salariati giovarono del calo dei prezzi. Tuttavia, si ebbero anche forti costi sociali, come l’aumento della disoccupazione. La ricostruzione post-bellica venne fatta nel rispetto del pareggio di bilancio, ma Einaudi poté beneficiare dei fondi del Piano Marshall, che furono utilizzati per le importazioni di derrate alimentari e materie prime, ma non per sviluppare la domanda interna.
A coronamento della sua carriera politica, nel maggio del 1948, al quarto scrutinio, Einaudi venne eletto Presidente della Repubblica, con 518 voti su 871: carica che esercitò rispettando profondamente la Costituzione, della cui redazione fu uno degli artefici.