17 maggio 1981. Domenica mattina.
La sveglia suona presto, stamattina. Anche se è domenica. Il giorno del riposo dalle fatiche della settimana. Non ci sono impegni, di solito, la domenica mattina. Colazione, caffè, giornale. Poi in chiesa. Caffè al bar, mentre i figli giocano in oratorio. E in un attimo è già ora di pranzo. Oggi, poi, c’è l’ultima giornata del campionato di calcio. La Juventus capolista gioca in casa contro il Napoli e la Roma del capocannoniere Roberto Pruzzo, che è sotto di due punti, deve provare a cancellare la distanza a Pistoia. Non ci riuscirà. A Torino sarà grande festa per lo scudetto dei bianconeri.
Oggi, però, non è una domenica qualunque. Oggi le urne sono aperte. Si vota. Nel febbraio dell’anno scorso, il Movimento per la Vita ha iniziato a raccogliere firme. Per un referendum. Vogliono cancellare una delle conquiste più importanti, in tema di diritti civili, di tutto il periodo repubblicano: vogliono abrogare la legge 194/78. La legge sull’aborto. Perché, è il caso di ricordarlo, fino al 1978 abortire era reato. Per chi lo praticava, le pene andavano da un minimo di due a un massimo di dodici anni. Soprattutto, era punibile la donna che abortisse. Da uno a cinque anni di carcere.
La legge, ottenuta grazie all’azione del movimento femminista, dei tanti attivisti per i diritti delle donne e alla convergenza con parte della politica, era stata messa in discussione fin dalla sua entrata in vigore. La Democrazia Cristiana, il MSI, la Chiesa e parte della società civile vi erano apertamente contrari. Dall’altro lato dello schieramento i partiti laici. Socialisti, comunisti, repubblicani, liberali. E i Radicali. Soprattutto i Radicali. Che, quando il Movimento per la Vita iniziò a raccogliere le firme, rispose con una propria proposta referendaria: cancellare quelle restrizioni che la legge 194 ancora manteneva in vita. Ampliare ancora di più il diritto di abortire liberamente.
I quesiti referendari, in totale, sono cinque. Ci sono le due proposte di abrogazione della legge 194. Ma il Partito Radicale ha fatto altre tre proposte: abrogare la legge antiterrorismo del 1980, meglio conosciuta come la legge Cossiga; abrogare la pena dell’ergastolo; abolire la normativa relativa alla concessione del porto d’armi da fuoco. Ma saranno i due quesiti sull’aborto a dominare la scena e a far passare alla storia questa giornata.
Le proiezioni sono del tutto incerte. Non si sa quali siano i rapporti di forza – e di voto – tra i due schieramenti. Anche perché il fronte del sì non è compatto. Sia all’interno della Chiesa che nella Dc, non tutti sono contrari all’aborto. O almeno, ritengono ragionevole le norme previste dalla 194. L’affluenza non è alta, secondo i canoni di allora. Non arriva all’80%. Ma, com’è ovvio, il quorum viene raggiunto. I risultati del voto saranno validi.
In realtà, per i radicali non è un successo. Tutte le loro proposte sono respinte, con una netta maggioranza. Quattro no. E quello relativo alla 194 ne riceve addirittura 27 milioni. Quasi l’89%. Tuttavia, ciò che è più importante, è che nemmeno la proposta del Movimento per la Vita passa. Ventun milioni e mezzo di italiani votano no.
La legge 194 deve rimanere così com’è. Questo dicono gli italiani. L’interruzione volontaria di gravidanza, entro certi limiti, deve essere possibile da effettuare. Soprattutto, deve essere legale. Certo, rimane lo scoglio dell’obiezione di coscienza, che nei fatti rende più difficile la piena attuazione dell’IVG – e lo fa tuttora.
Ma, il 17 maggio 1981, uno dei diritti fondamentali delle donne veniva riaffermato, a furor di popolo. La legge 194 non venne abrogata.
Il diritto all’aborto resta, e continua a restare, nell’ordinamento legislativo italiano.