Le consultazioni per individuare il prossimo Presidente del Consiglio sono iniziate giovedì mattina, ma il turno della coalizione vincente è arrivato solo venerdì. Una delegazione folta, la cui imponenza, però, è stata inversamente proporzionale al tempo trascorso nel Salone degli Arazzi di Lille: un record, appena sette minuti. Meloni è poi tornata nel pomeriggio a colloquio con Mattarella, per presentare la sua proposta di lista dei ministri per il “governo di alto profilo” che ormai da quasi un mese ha annunciato di voler formare. Una lista, tra l’altro, che pare non sia stata condivisa con gli altri due leader dei partiti del centro-destra, probabilmente anche per i grandi momenti di difficoltà (Salvini) e imbarazzo (Berlusconi) che hanno creato alla nuova premier incaricata prima e dopo le elezioni.
Terminato il colloquio di oltre un’ora con Mattarella, Meloni ha poi presentato al grande pubblico la squadra dei ministri – 24 in totale, uno in più del governo precedente.
Vecchi ministeri, nomi nuovi, quali funzioni?
Ciò che è subito balzato all’attenzione degli ascoltatori è stato sicuramente il cambio di denominazione di alcuni ministeri. Così, in questo governo avremo il Ministero per le politiche del mare e per il Sud (affidato a Nello Musumeci), il Ministero per gli Affari europei, la coesione territoriale e il Pnrr (Raffaele Fitto), il Ministero dello Sport e dei giovani (Andrea Abodi), il Ministero per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità (Eugenia Maria Roccella), il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che sostituirà quello dello Sviluppo economico (Adolfo Urso), il Ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare al posto di quello delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Francesco Lollobrigida), il Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica invece di quello della Transizione ecologica (Gilberto Pichetto Fratin), il Ministero dell’Istruzione e del merito (Giuseppe Valditara),
Nomi nuovi, dunque, che fanno riflettere e pongono alcuni interrogativi sulle funzioni che svolgeranno. Ad esempio, perché incorporare “politiche del mare” e “Sud” in un Paese come l’Italia, in cui solo 5 delle sue 20 Regioni non hanno sbocchi sul mare? La domanda, ovviamente, è retorica, vista la politica che la destra ha sempre dichiarato di voler intraprendere: è chiaro che per quelle parti politiche, le “politiche per il mare” sono quelle che riguardano solo il mare del Sud, e più nello specifico quello che è stato da esse dipinto come il suo grande problema, la migrazione.
Un po’ più seria è, invece, la riflessione che bisogna fare sulle funzioni di un Ministero “della sovranità alimentare”, tanto più se associate all’Agricoltura. Perché, forse non è noto, il concetto di “sovranità alimentare” è stato coniato nel 1996 da una ONG internazionale, Via Campesina, per promuovere un’agricoltura sostenibile, e negli anni si è evoluto ed arricchito. L’organizzazione Food Secure Canada, nel 2012, definiva la “sovranità alimentare” come un modello che, traduciamo:
- Si concentra sul cibo per le persone mettendo il bisogno di cibo delle persone al centro delle politiche e insistendo sul fatto che il cibo è più di una semplice comodità.
- Valorizza i produttori alimentari supportando mezzi di sussistenza sostenibili e rispettando il lavoro di tutti i produttori.
- Localizza i sistemi alimentari riducendo la distanza tra fornitori e consumatori, respingendo il dumping e l’aiuto alimentare inadeguato e resistendo alla dipendenza di società lontane e irresponsabili.
- Esercita un controllo a livello locale dandone la responsabilità ai fornitori alimentari locali, riconoscendo il bisogno di abitare e condividere i territori e respingendo la privatizzazione delle risorse naturali.
- Promuove la conoscenza e le abilità basandosi sulle conoscenze tradizionali, usando la ricerca per supportare e tramandare questa conoscenza alle future generazioni e respingendo le tecnologie che mettono a repentaglio i sistemi alimentari locali.
- Ha un impatto positivo sulla natura, massimizzando i contributi degli ecosistemi, migliorandone la resilienza e rifiutando metodi produttivi intensivi, monocolturali, industrializzati e distruttivi.
Staremo a vedere se è questo il senso del ministero istituito da Meloni o se invece, come scrive Domani, «si scrive sovranità, si legge sovranismo». In questo secondo caso, lo diciamo provocatoriamente, la storia ha già insegnato che una politica autarchica/localista nel mondo contemporaneo non può avere successo. E infatti il web si è già scatenato: Laura Boldrini, ad esempio, con un tweet chiede se “Metteranno fuori legge l’ananas”.
Nomi che plasmano la realtà
Ma, condividendo l’analisi di Fanpage, «il cambio di denominazione di alcuni dicasteri (l’inserimento dei concetti di merito, natalità e sovranità) non è solo una scelta simbolica, ma sostanziale: la politica di Meloni si muoverà nel solco della piattaforma ideologico-programmatica della destra conservatrice e reazionaria. Quello è l’ambiente da cui proviene lei e in cui si è formata la classe dirigente di Fratelli d’Italia».
Appaiono allora più chiare le altre modifiche. Sostituire la Transizione ecologica con l’Ambiente e la sicurezza energetica, ad esempio, è chiaro segno di quale importanza abbia per questo governo il tema dei cambiamenti climatici.
Inserire la “natalità” insieme alla famiglia e alle pari opportunità rispecchia le idee che il centro-destra ha portato avanti in campagna elettorale (contrastare il calo demografico, attuare in ogni suo punto la legge 194), ma è uno schiaffo per tutte quelle persone che non si rispecchiano nel concetto di “famiglia tradizionale” cristiana. Soprattutto, preoccupa sul tema dell’aborto e della libertà di scelta, anche alla luce della prima proposta di legge della nuova legislatura, a firma Gasparri, il cui obiettivo, ha dichiarato, è «quello di una piena e completa attuazione della legge 194»: riconoscere la capacità giuridica dell’individuo non più dal «momento della nascita» (art. 1 c.c.), com’è ora ma dal momento del concepimento – ciò significherebbe estendere al feto appena concepito l’idoneità «alla titolarità di diritti ed all’assunzione di obblighi» e renderlo perciò «titolare dei diritti della personalità, definiti come diritti assoluti ed inalienabili», tra i quali il diritto alla vita. Il cortocircuito è chiaro (e anche la manipolazione delle parole e il pervertimento del loro senso), ma lo ha espresso ancora meglio Nicola Fratoianni: «Vorrebbero conferire capacità giuridica all’embrione fin dal suo concepimento. L’obiettivo? Poter accusare di omicidio ogni donna che ricorre all’interruzione volontaria di gravidanza».
Riprendendo ancora l’articolo di Fanpage sopracitato, le prospettive per il futuro non sono rosee, perché se «è molto improbabile che questo governo cambi radicalmente il posizionamento del paese» in ambiti chiave, «dove invece l’impronta sarà più netta è nel campo sociale, culturale, civile e politico in senso ampio. È il tempo dei Fontana e delle Roccella, insomma».
Ministri di “alto profilo”?
Se di Lorenzo Fontana abbiamo già parlato altrove, verifichiamo la caratura dei ministri scelti da Meloni per il nuovo esecutivo proprio a partire da Eugenia Roccella, nuova titolare del Ministero per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Oltre ai presupposti esposti prima, a preoccupare molto, infatti, non è solo il nome del nuovo ministero, ma anche il profilo di Roccella: dalla militanza giovanile tra i Radicali e nel movimento femminista (nel 1975 ha scritto il libro Aborto: facciamolo da noi), Eugenia Roccella è diventata un’ultraconservatrice, antiabortista, sostenitrice della famiglia tradizionale (nel 2007 è stata portavoce del Family Day), contraria alla procreazione assistita
Non è questo però l’unico nome della nuova squadra di governo che lascia perplessi. E se quello di Roccella è un nome “politico”, da cui quindi ci si può aspettare qualche défaillance – così come, a prima vista, non sembra felice la scelta di Salvini alle Infrastrutture, che potrà così occuparsi dei “porti” –, non convincono del tutto nemmeno i nomi dei “tecnici” cui Meloni ha voluto affidare i ministeri “chiave”.
A partire da Carlo Nordio, nuovo ministro della Difesa: se il suo profilo professionale può vantare una lunga carriera e brillante da magistrato (si è occupato delle indagini sulle Brigate Rosse venete, di sequestri di persona, di tangenti alle Cooperative rosse, del Mose), pesano le sue attuali convinzioni, soprattutto le esternazioni critiche nei confronti delle intercettazioni telefoniche durante le indagini e a favore dell’immunità parlamentare e dell’abolizione della legge Severino, quella cioè che vieta la partecipazione alla vita politica del Paese per coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione – in sostanza, quella che ha impedito a Berlusconi di mettere piede in Parlamento fino alle scorse elezioni.
Anche il nuovo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, “tecnico” ma in quota Lega, così fortemente voluto da Meloni da rischiare lo strappo non ricucibile con Salvini, negli ultimi anni ha accumulato qualche ombra su di sé. Piantedosi, infatti, è stato capo di Gabinetto del ministro dell’Interno Salvini dal giugno 2018 al settembre 2019 (con tutto ciò che ne è conseguito in termini giudiziari, per gli sbarchi impediti delle navi “Aquarius” e “Diciotti”, e politici, per il varo dei Decreti Sicurezza), ma soprattutto era il Prefetto di Roma il 9 ottobre 2021, quando nella Capitale fu assaltata la sede nazionale della Cgil da un gruppo di circa 1.500 persone, tra cui i leader del partito neofascista Forza Nuova, Roberto Fiore e Giuliano Castellino, nonché l’ex militante dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Luigi Aronica. Un assalto che ha riportato, per qualche ora, il Paese indietro di 50 anni, ai famigerati “anni di piombo”, e che ha trovato le forze dell’ordine assolutamente impreparate sul piano numerico (solo 840 membri dispiegati per oltre 10mila persone) e strategico, nonostante i presupposti per una degenerazione della manifestazione da cui è partito l’attacco ci fossero tutti.
Insomma, in queste settimane a larghi tratti sulla squadra di governo ci sono state le fratture più grosse tra i partiti di coalizione. E, sinceramente, è parso fosse un bene, perché Meloni ha dato di sé l’immagine di una leader capace di resistere alle pressioni altrui, di dare spazio al merito e alla competenza, di voler affidare ruoli chiave della futura amministrazione a figure super partes e inattaccabili. Ma, come sempre succede in politica, la realtà è poi ben diversa dalle rappresentazioni. E spesso delude.