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Essere genitori omosessuali, in Italia, è impossibile

La legge italiana non riconosce l'omogenitorialità. L'unica via, per una coppia omosessuale, è quella di districarsi tra sentenze e interpretazioni delle leggi vigenti. E a rimetterci sono i bambini.

Il tema dell’omogenitorialità, da una decina di giorni, è tornato con prepotenza nel dibattito pubblico italiano. Per la precisione dal 13 marzo, quando il Comune di Milano è stato costretto a interrompere le trascrizioni dei certificati di nascita esteri dei figli di coppie omosessuali, dopo che a luglio dell’anno scorso il sindaco Sala aveva iniziato a riconoscerli.

Cause di forza maggiore: una circolare del prefetto di Milano, che, su indicazioni del Ministero dell’Interno, ha “invitato” il Comune di Milano a interrompere la procedura. Il motivo? La sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022 emessa dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, che stabilisce che i figli di genitori dello stesso sesso nati all’estero devono essere riconosciuti in Italia attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari (legge 184/1983) la stepchild adoption. E, in assenza di una legislazione in materia – la legge Cirinnà sulle unioni civili ha volutamente tralasciato il tema della genitorialità perché “troppo divisivo – tale sentenza fa giurisprudenza.

La legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita

Sì, perché l’Italia, nonostante la Corte costituzionale abbia richiamato il Paese ad approvare delle leggi sul riconoscimento dei figli delle coppie omosessuali (sentenze 32 e 33 del 2021), non si è dotata di strumenti giuridici a tal fine.

Un vuoto enorme. Che si spiega col fatto che in Italia l’accesso alla procreazione medicalmente assistita – l’unica che permette alle coppie omosessuali di avere figli – è estremamente ristretto.

A regolarlo è la legge 40/2004. Essa, in buona sostanza, stabilisce che ad usufruire della PMA possono essere solo le «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». Inizialmente, era prevista solo in caso di sterilità o infertilità e «solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione», ma diverse sentenze della Corte costituzionale hanno, negli anni, modificato la legge: così, nel 2014 è stato abrogato l’articolo 4, che vietava il ricorso alla fecondazione eterologa, e dal 2015 è caduto anche il vincolo della fertilità (ma solo per le coppie con patologie trasmissibili). Tuttavia, la discriminante del «sesso diverso» non è mai stata messa in discussione. Così come sono rimaste immutate le pene: da 3 mesi a 2 anni di carcere e da 600.000 a un milione di euro per «chiunque organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità».

La legislazione, dunque, è piuttosto chiara: in Italia, alle donne single e alle coppie omosessuali è vietato ricorrere alla fecondazione assistita e alla maternità surrogata.

L’unico modo per essere riconosciuti entrambi genitori è quello di recarsi all’estero, laddove possono ricorrere alla PMA. E qui, occorre distinguere tra coppie di donne e coppie di uomini omosessuali. Perché le legislazioni dei Paesi esteri sono diverse.

Lì, infatti, per le donne, è relativamente più semplice diventare entrambe mamme perché in alcuni degli Stati europei la fecondazione assistita è legale: Spagna, Portogallo, Francia, Olanda, Belgio, Gran Bretagna, Austria, Islanda, Svezia, Norvegia, Finlandia. “Relativamente” perché i disagi sono tanti e i costi alti, ma in questi Stati il matrimonio omosessuale è legalmente riconosciuto, e questo significa che anche le coppie omosessuali, come quelle eterosessuali, possono adottare figli esterni alla coppia (l’adozione legittimante). Al momento della decisione di ricorrere alla fecondazione assistita, la madre “intenzionale”, quella cioè che non avrà legami biologici con il figlio, firmando il consenso diventa automaticamente genitore del bambino che nascerà.

Ben diversa, invece, è la situazione per gli uomini omosessuali. Perché sono molti meno i Paesi del mondo in cui è possibile ricorrere allagestazione per altri (GPA, o maternità surrogata). E in molti di essi le regole sono piuttosto restrittive – il requisito della residenza nello Stato è quasi ovunque obbligatorio. Il cerchio si restringe a Canada e Stati Uniti, gli unici in cui la GPA è legale e che accettano che coppie di uomini omosessuali italiani ricorrano alla maternità surrogata. Qui, quando il bambino nasce, entrambi gli uomini vengono subito registrati come genitori.

A questo punto, il problema diventa il riconoscimento della genitorialità in Italia.

L’adozione in casi particolari e la trascrizione degli atti di nascita esteri

Perché in Italia, come abbiamo accennato, non esiste una legislazione per il riconoscimento dei figli di genitori omosessuali nati all’estero – l’adozione di figli esterni alla coppia omosessuale non è consentita. Così, in questo buco normativo, a partire dal 2014, i Tribunali dei minori interpellati hanno iniziato a utilizzare la legge 184/1983 sull’adozione in casi particolari per riconoscere anche legalmente la seconda figura genitoriale, quella non legata biologicamente al figlio. Il genitore “intenzionale”, solo ed esclusivamente con il consenso del genitore registrato alla nascita, deve fare richiesta di adozione al Tribunale dei minori e solo dopo un lungo e complesso iter – anche di due o tre anni – può andare a buon fine.

E non è detto che ciò succeda, perché non è raro che il consenso del genitore biologico venga in seguito ritirato, e soprattutto perché il genitore “intenzionale” non è obbligato a presentare la domanda di adozione. Ad essere meno tutelato, insomma, è il bambino.

Per superare questa normativa discriminante, a partire dal 2018 sono scesi in campo i sindaci, che tra le loro funzioni hanno anche quella di essere a capo dell’ente comunale che forma gli atti di nascita, l’Ufficio di stato civile. Precursore è stato l’allora sindaco di Torino, Chiara Appendino, che ha iniziato a trascrivere all’anagrafe italiana gli atti di nascita dei figli di genitori omosessuali provenienti dall’estero, uomini o donne che fossero – pratica che si fonda su accordi internazionali. Da quel momento, molti altri sindaci hanno seguito il suo esempio, tra cui Beppe Sala. Così, anche in un Paese come l’Italia, dove la legge non prevede che un bambino possa avere due mamme o due papà, si è aperta una breccia al riconoscimento della piena genitorialità per le coppie omosessuali.

La sentenza della Corte di Cassazione e la circolare della prefettura di Milano

Fino al 30 dicembre scorso, quando la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha stabilito che, in Italia, soltanto il genitore biologico di un bambino nato all’estero attraverso la maternità surrogata può essere riconosciuto come genitore all’anagrafe italiana. Nonostante l’atto di nascita originario riporti entrambi come genitori. E nonostante ricorrano accordi internazionali tra i due Paesi coinvolti. Al genitore intenzionale basti l’adozione in casi particolare – che, secondo la sentenza, «salvaguarda la continuità della relazione affettiva ed educativa eventualmente instauratasi» – perché non esiste «nell’ordinamento italiano, un modello di genitorialità, diverso dall’adozione, alternativo a quello fondato sul legame biologico tra genitore e figlio». È appellandosi a questa sentenza che la prefettura di Milano a intimato al sindaco Sala di interrompere le trascrizioni degli atti di nascita di figli delle famiglie arcobaleno nati all’estero.

«Legame biologico». Tradotto: il “sangue”. Un concetto anacronistico, in un mondo fluido come quello contemporaneo. Un criterio obsoleto, prodotto dei nazionalismi ottocenteschi, gli stessi che hanno inventato i confini e le appartenenze nazionali, che tanto dolore e distruzione hanno generato nel Novecento – le due guerre mondiali, il razzismo, i genocidi.

Ancora una volta, l’ordinamento italiano, adottando il “sangue” come discriminante per riconoscere la genitorialità o per conferire la cittadinanza, non solo non rimuove – come imporrebbe la nostra Costituzione –, ma crea disuguaglianze. Crea cittadini “pieni” e cittadini “a metà”.

Una situazione inaccettabile, disumana. Ma che non sembra essere vicina alla soluzione. Nonostante i moniti della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, infatti, nessuna legge sul riconoscimento dei figli di coppie omosessuali è stata mai discussa in Parlamento. E, viste le premesse, con ogni probabilità nemmeno questa legislatura lo farà.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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