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9 maggio 1978. L’omicidio di Peppino Impastato

Per la rubrica Hi, Storia!, questa settimana ricordiamo la tragica morte di Peppino Impastato, assassinato dalla mafia nella notte tra l'8 e il 9 maggio 1978

9 maggio 1978. Terrasini (PA), Corso Vittorio Emanuele 108.

Anche qui, dentro la sede di Radio Aut, all’ora di pranzo è risuonata la tragica notizia: il corpo di Aldo Moro è stato ritrovato in via Caetani, nel baule di una Renault 4 rossa.

Peppino non è lì. Che strano. Di solito arriva presto, per preparare i programmi del pomeriggio. Chissà che ne penserebbe, lui che si è candidato alle elezioni comunali con Democrazia Proletaria. Certo, il “compromesso storico” non era visto di buon occhio negli ambienti della sinistra più radicale. Ma un omicidio è sempre un omicidio. E quello di Aldo Moro, uno dei politici più in vista del Paese, segnava un punto di non ritorno.

Le ore passano, e di Peppino nemmeno l’ombra. C’è da preoccuparsi. D’altronde, dal microfono di quella radio, raccontando quello che succedeva loro intorno, Peppino e i suoi compagni si erano fatti parecchi nemici. Uno su tutti, Gaetano Badalamenti, il boss di Cosa Nostra della zona. Un pezzo grosso. Con agganci e collusioni nella politica locale e non solo. Peppino e i suoi compagni hanno deciso di raccontarli, quei traffici sporchi. Con la satira. Nel programma Onda Pazza, che racconta di Mafiopoli e di don Tano Seduto, la caricatura grottesca del boss Badalamenti. Che, da quando è nato il programma, nell’estate del ‘76, non ha mai digerito lo sgarbo. E nemmeno che si puntassero i riflettori sui suoi affari.

Che fine ha fatto Peppino? In città gira una strana voce, da stamattina. Hanno trovato un corpo dilaniato sui binari della stazione e una carica di tritolo. Un attentato terroristico finito in tragedia. Si teme sia lui. Poi, in breve, quel corpo è finito nel dimenticatoio, e i riflettori si sono accesi sui fatti di Roma.

Non per i compagni di Peppino, però. Perché loro lo hanno saputo subito, che quell’uomo morto sui binari della stazione era Peppino. Anche se non ci avevano creduto subito. Perché è vero, Peppino era di sinistra, ma non era un bombarolo. Poco distante dal luogo del ritrovamento c’è una pietra insanguinata. Niente, irrilevante, secondo i primi accertamenti. Peppino è morto nel tentativo di far esplodere i binari. Era un terrorista.

Depistaggi. Solo molti anni dopo si accerterà che quel masso c’entrava eccome con l’omicidio di Peppino. Perché di omicidio si trattò.

Nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 Peppino fu sequestrato da un commando mafioso guidato da Vito Palazzolo, vice di Gaetano Badalamenti, su ordine del boss mafioso. Venne portato in un casolare nelle campagne di Cinisi, in contrada Feudo. Venne legato. Preso a botte e a sassate. Fino alla morte.

La verità su quell’omicidio non venne fuori subito. Ci vollero anni. E l’impegno attivo della madre di Peppino, Felicia; del fratello Giovanni; dei compagni militanti del Centro siciliano di documentazione (poi reintitolato Centro Impastato, in memoria di Peppino, nel 1980). La matrice mafiosa dell’omicidio fu riconosciuta solo nel 1984, sei anni dopo i fatti. Per trovare esecutori e mandanti, invece, si dovettero aspettare gli anni ‘90. Nel 1994, dopo che il caso era stato chiuso senza trovare alcun colpevole due anni prima, il Centro impastato presentò istanza di riapertura del processo e venne sentito sul caso Impastato il testimone di giustizia Salvatore Palizzolo. Che raccontò tutto. Incriminando Badalamenti e Vito Palazzolo.

Per avere una verità giudiziaria, la famiglia di Peppino dovette attendere il 5 marzo 2001, quando Palazzolo fu condannato a trent’anni come l’esecutore materiale dell’omicidio. E l’11 aprile 2002 anche Badalamenti fu condannato all’ergastolo per essere stato il mandante. Ventiquattro anni dopo, la morte di Peppino Impastato ha ricevuto giustizia.

Nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, Peppino Impastato perse barbaramente la vita per mano mafiosa. Perché aveva avuto il coraggio di urlare che “la mafia è una montagna di merda”.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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