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Berlusconi e il berlusconismo

Silvio Berlusconi, nato il 29 settembre 1936, è un imprenditore di successo dagli anni ’60, quando è iniziata la sua carriera a partire dal settore immobiliare; negli anni ’80 si è poi espanso al settore dei media e della comunicazione con la fondazione di Mediaset. Il suo impero economico si è esteso da questi settori al campo dell’editoria fino a quello dello sport, avendo acquistato nel 1986 il Milan. Progressivamente, dalla fine degli anni ’70 si è avvicinato alla politica inserendosi tra i sostenitori del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi. Durante la Seconda Repubblica è stato una delle figure più rilevanti di questa stagione politica. Ancora oggi, se pur non è più la guida del centro-destra, la sua figura carismatica continua ad emanare una certa forza magnetica sia tra le forze politiche sia tra i cittadini.

Nella storia della Repubblica Italiana, l’avvento di Berlusconi segna un punto di svolta: è dalla sua scesa in campo del 1994, dopo i fatti di Tangentopoli che si abbatterono sulla classe dirigente che per quarant’anni governò il paese, che possiamo parlare di Seconda Repubblica.

La politica del “berlusconismo”

Sin dal 1994 i governi di Berlusconi furono composti da un’alleanza politica che seppe unire Alleanza Nazionale (l’ex Movimento Sociale Italiano), e la Lega Nord di Bossi: la prima animata da un profondo sentimento nazionale e radicata nel Sud, mentre la seconda mossa da forti rivendicazioni secessioniste dell’area padana. Forza Italia (Fi), il nuovo partito fondato da Berlusconi, raccolse intorno a sé gli ex-moderati della Democrazia Cristiana e i liberali dei vari partiti della Prima Repubblica. Nei confronti dell’elettorato, il nuovo partito si presentò sempre come il nuovo scudo crociato contro la minaccia della sinistra italiana, galvanizzando sia il ceto medio moderato sia il mondo dei liberi imprenditori.

Quello che si formò fu un polo, non omogeno e coeso, attorno a un partito-guida dai lineamenti che potremmo definire quasi di “partito-massa” liberale. Le principali politiche seguirono sia l’indirizzo neoliberista che si andava concretizzando in tutta Europa, come le privatizzazioni e il taglio alla spesa pubblica, sia politiche fortemente personalistiche. Proprio questo uso personale della politica portò accuse su più fronti ai governi di Berlusconi e i suoi personali problemi con la giustizia non fecero che diminuirne il prestigio.

I metodi populisti del “berlusconismo”

Berlusconi può essere incastonato a buon diritto nella storia del populismo italiano perché, con il suo modo di fare politica, cambiò radicalmente la storia politica italiana. Al momento della sua scesa in campo Berlusconi era all’apice del prestigio personale, grazie agli enormi successi delle sue aziende e alle vittorie del Milan. La capacità di potenti mezzi, sia economici sia nel campo della comunicazione, si unirono alle doti personali di una forte leadership carismatica in grado di fare breccia in un elettorato sempre più trasversale.

Forza Italia abbandonò gli schemi dei precedenti partiti di una rigida struttura interna composta da diverse sezioni e assemblee, congressi, votazioni e dibattiti interni. Esso era un partito personale guidato come se fosse un’azienda dal proprio leader, che si circondava di esperti della comunicazione – ad esempio, fu il partito che per la prima volta in Italia adottò delle spille e un proprio inno. La ricerca della trasversalità dell’elettorato e l’impegno a non connotarsi all’interno di una precisa linea politica sono presenti già dalla scelta del nome, che più che un richiamo alla politica ricorda uno slogan calcistico comune a tutta la Penisola.

Il “berlusconismo” generò un aumento del rapporto fiduciario tra il leader e le masse: un rapporto paternalistico nel quale i fedeli credettero che i poteri, quasi divini, del loro capo potessero risolvere ogni problema o che bastassero per superare anche i vincoli istituzionali. Questo legame venne a crearsi grazie ai mezzi comunicativi in possesso di Berlusconi, che diedero sempre una determinata immagine del loro proprietario.

È proprio nel campo dell’immagine che Berlusconi cambiò radicalmente la politica italiana. Egli fu il primo esponente della “videopolitica”: i comizi politici nelle piazze furono sostituiti da comizi televisivi nei quali il leader poteva parlare direttamente ad ogni cittadino. Pensiamo al discorso televisivo della scesa in campo del 1994, ricco, come ogni slogan televisivo, di elementi fortemente emozionali e semplificativi. Oltre a ciò, nella vita pubblica reale e nel dibattito politico era comune l’uso di parole forti e insulti ad altri capi di governo, estreme semplificazioni delle dinamiche politiche, battute d’effetto che incendiavano e avvicinavano le folle al proprio leader. Con la “videopolitica”, il capo politico divenne un uomo di immagine capace di far parlare più di sé che degli ideali e delle proposte del suo partito.

Attraverso il “berlusconismo” venne a delinearsi una forza politica che rappresentava la società civile, quella del ceto medio e dei moderati, in contrapposizione con il centro-sinistra descritto come l’erede della vecchia classe dirigente comunista e della vecchia politica dei partiti della Prima Repubblica – immagine che, naturalmente, rientra in quell’atteggiamento semplificativo e distorsivo della realtà insito nel “berlusconismo”.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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