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Ischia. Come si è giunti alla tragedia

Tre riflessioni sul disastro che ha colpito l’isola di Ischia in questa fine di novembre. Una tragedia, purtroppo, annunciata: tra abusivismo edilizio, reiterati condoni e condizioni idrogeologiche del territorio. E una politica che ha deciso di ignorare il problema dei cambiamenti climatici.

Una tragedia annunciata. Non si può chiamare altrimenti l’enorme colata di detriti e fango che, nella notte tra venerdì e sabato, ha ricoperto la zona del comune di Casamicciola, a Ischia, distruggendo tutto ciò che ha incontrato sulla sua strada: strade, abitazioni, attività. E la vita di otto persone: Eleonora Sirabella; Nikolinka Gancheva Blangova; Maurizio Scotto di Minico, Giovanna Mazzella e loro figlio, GiovanGiuseppe, di appena 22 giorni; Francesco Maria Teresa e Michele Monti, rispettivamente di 11, 6 e 16 anni, i cui genitori, Valentina Castagna e Gianluca Monti, sono ancora dispersi.

Come abbiamo scritto in apertura, una tragedia purtroppo annunciata. Perché gli intensi nubifragi erano previsti, al punto da far scattare l’allerta meteo arancione in Campania dalla sera di venerdì. Perché l’isola si trova in una zona del nostro Paese a rischio sismico. Perché Ischia è un’isola vulcanica, la cui composizione del suolo la porta a essere naturalmente un terreno soggetto a frane – e infatti sono state frequenti, soprattutto dagli anni ’80 a oggi. Perché il suolo è stato reso ancora più fragile dall’elevato tasso di cementificazione dell’isola, che ha visto crescere con impressionante frequenza il proprio numero di abitanti: 61.988 abitanti all’inizio del 2022 in 46,3 km2, con una densità abitativa di 1.338,8 abitanti/km2 – tanto per capirci, l’isola d’Elba ha una superficie di 223 km2 e la metà degli abitanti, con una densità di 143 abitanti/ km2; Lipari è circa il doppio di superficie rispetto a Ischia e ha 12.434 abitanti. E, con essi, le relative abitazioni e il fenomeno dell’abusivismo edilizio. Infine, perché sempre più frequenti, e dunque prevedibili, sono in Italia i fenomeni meteorologici estremi dovuti ai cambiamenti climatici. Eventi che richiedono un intervento forte a livello politico – nazionale e sovranazionale –, ma che non hanno ancora trovato posto nell’agenda politica odierna. E che richiederebbero un approccio di tipo preventivo, invece dell’abitudine tutta italiana di affrontare i problemi soltanto a posteriori e in un’ottica emergenziale.

A cosa ha portato la politica dei condoni?

C’è sempre un miscuglio di attaccamento e follia, di serena accettazione e incoscienza, in chi vive in zone ad alto rischio, ad esempio su vulcani attivi – Stromboli, Vulcano, Etna, Vesuvio – o comunque in aree vulcaniche. E che Ischia sia un’isola su cui vivere è pericoloso è noto a tutti. Alle autorità, alle istituzioni, ai geologi e agli abitanti stessi. Ne sono una testimonianza le numerose frane che, dagli anni ’80, si sono succedute con sempre più frequenza.

Ciò non ha comunque impedito che un’enorme colata di cemento trasformasse radicalmente il paesaggio di Ischia: case, strade, palazzi, supermercati. Ma è possibile costruire così tanto in un’isola ad alto rischio? Ecco, il problema è proprio qui: no, non è possibile. Eppure, quegli edifici e quelle infrastrutture ci sono.

Perché? Per rispondere alla domanda, usiamo le parole di Giuseppe Conte. Da quanto ha riferito parlando a Mezz’ora in più, su Rai 3, dal 1985 a oggi per quasi un’abitazione su due di Ischia (27.000 sulle 60.000 totali) sono state presentate «richieste di condono». Ergo, 27.000 case erano abusive, del tutto o in parte.

Conte è stato interpellato perché, nelle pieghe del provvedimento del 2018 successivo al crollo del Ponte Morandi di Genova – il «decreto Genova» –, e nello specifico all’articolo 25, si metteva in atto la «definizione delle procedure di condono» per le abitazioni ischitane. L’ex premier si è difeso dall’accusa dicendo che quello non era un condono, ma che così facendo ha facilitato l’accesso ai fondi messi a disposizione dallo Stato per la ricostruzione conseguente al terremoto che, nel 2017, aveva colpito l’isola.

Tralasciando la polemica relativa all’articolo del «decreto Genova» (qui due articoli di Fanpage e Il Post che la approfondiscono) di veri e propri condoni edilizi, in Italia, ne sono stati fatti tre: nel 1985, nel 1994 e nel 2003, e il primo, in materia di rischio idrogeologico e sismico, era molto vago e ben poco stringente.

“Condono”, poi, è una parola che torna spesso, e in molti settori della vita pubblica. E c’è chi, sui condoni, ha costruito il proprio successo politico. Si pensi alla tanto sbandierata “pace fiscale”, che nei fatti è stata una maxioperazione di condono fiscale per i piccoli evasori, o alla campagna elettorale di Severino Nappi, candidato della Lega in Campania alle elezioni di settembre, interamente costruita sul condono edilizio per la Campania.

Ma il condono è un concetto profondamente iniquo e discriminante, perché mette sullo stesso piano chi le regole le segue, a costo di grandi sacrifici, e chi invece delle regole se ne infischia. E in questo modo promuove una cultura dell’illegalità, della prevaricazione, dell’individualismo egoistico, del menefreghismo. E, soprattutto, la politica dei condoni non funziona: i condoni edilizi non hanno frenato le costruzioni abusive, così come i condoni fiscali non hanno frenato l’evasione. Anzi, probabilmente è vero il contrario: sapere di commettere illeciti e, un giorno o l’altro, avere la possibilità di sanare la propria posizione senza conseguenze, agevola e incentiva il comportamento illecito.

Non possiamo più ignorare i cambiamenti climatici

Sarebbe riduttivo ridurre la tragedia di Ischia a un problema di edilizia abusiva. Certo, se molte di quelle abitazioni irregolari non ci fossero state, i danni sarebbero stati certamente minori, ma ci sarebbero stati comunque. Potremmo anche affermare che, vista la natura vulcanica del suolo, sia “normale” che un nubifragio, in concomitanza con una frana, possa provocare una colata di fango. Anzi, vista l’elevata frequenza delle frane a Ischia, è un fenomeno ben noto.

Ecco, il punto è proprio questo. Il nubifragio che ha colpito Ischia nella notte tra venerdì e sabato non è stato un “normale” nubifragio, come i tanti che colpiscono le nostre isole. Come ha detto a Repubblica Paola Salvati dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr, «non avevamo mai misurato una pioggia così»: 50 millimetri di pioggia in un’ora, 120 in sei ore.

L’eccezionalità delle piogge registrate a Ischia è dovuta ai cambiamenti climatici. Come ha spiegato al Corriere della Sera Lorenzo Tedici, meteorologo del sito ilMeteo.it, il caldo estremo di questa estate, dovuto ai cambiamenti climatici, ha modificato la temperatura delle acque, e ciò ha un immediato riflesso sulla frequenza e l’intensità delle precipitazioni.

Le piogge cadute in tutto il Sud Italia nella settimana passata possono essere a tutti gli effetti classificate come eventi estremi. E, secondo i dati della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) riportati da SkyTg24, gli eventi estremi legati al clima sono sempre più frequenti in Italia – 130 nel 2022 – e con gravi conseguenze sulla popolazione. Tra questi, l’aumento esponenziale delle precipitazioni è forse l’effetto che, nel nostro Paese, si presenta con maggiore evidenza e drammaticità: come ha sottolineato sempre a SkyTg24 il presidente della Sima, Alessandro Miani, negli ultimi quarant’anni c’è stata una frequenza di 1,5 nubifragi estremi l’anno, ma in futuro sono previsti «3 nuovi eventi annui. A causa nostra nubifragi, alluvioni, trombe d’aria e cicloni in futuro saranno più numerosi e distruttivi».

Nubifragi, lunghi periodi di siccità – ricordiamoci l’emergenza idrica che ha colpito l’Italia questa estate – temperature elevate, diminuzione della biodiversità: siamo ancora sicuri che sia possibile ignorare il problema del cambiamento climatico, e di tutto ciò che a esso è connesso? Ovviamente no. Ma probabilmente non sarà questo governo a dare la risposta giusta, viste le premesse: sostituire il riferimento alla Transizione ecologica dal nome del Ministero dell’Ambiente con quello alla Sicurezza energetica è, a tutti gli effetti, un manifesto politico. E lo sono anche le parole del ministro, Gilberto Pichetto Fratin, che, nel comunicato stampa del 29 novembre ha ridotto tutta la questione con un semplicistico «In un Paese civile non si dovrebbe morire di pioggia. Se accade così spesso significa che, fermi restando gli effetti dei cambiamenti climatici che enfatizzano gli eventi meteo estremi, non si è operato bene a livello di Governo centrale, Regioni e Enti locali». Una minimizzazione che, pronunciata dal Ministro dell’Ambiente, lascia francamente sgomenti.

Il ruolo della prevenzione

Se le condizioni geofisiche di Ischia sono ben note, e altrettanto lo sono le problematiche edilizie e gli effetti dei cambiamenti climatici, viene spontaneo chiedersi: si poteva evitare la catastrofe? Si poteva intervenire prima? E, se sì, perché non è stato fatto?

Sì, la catastrofe si poteva evitare. Molte di quelle case, nel comune di Casamicciola, non dovrebbero essere lì, e non solo perché non sarebbero proprio dovute esistere, ma anche perché, delle migliaia di ordinanze di demolizione relative agli immobili abusivi di Ischia, pochissime sono state portate a termine, come ha spiegato al Corriere della Sera Sergio Costa, ex ministro dell’Ambiente e generale dei carabinieri forestali.

Insomma, ciò che è mancato, e che è una costante italiana, è un’adeguata politica di prevenzione. È stato evidente in questi due anni di pandemia, ma lo è stato anche in relazione alle migrazioni contemporanee e al terremoto dell’Aquila: all’Italia non piace la strategia politica della prevenzione, preferisce agire nell’ottica costante dell’emergenza. Le classi dirigenti che hanno governato – e governano tuttora – il nostro Paese, di tutti i colori politici, preferiscono intervenire a posteriori, quando orami le tragedie si sono verificate, senza un minimo di lungimiranza, e utilizzando molte più risorse di quanto non si sarebbero spese con adeguate misure preventive. Innanzitutto a livello locale, e dunque far rispettare le regole edilizie, impedire la costruzione di stabili abusivi, demolire quelli già esistenti, predisporre adeguati controlli sui piani regolatori e sui requisiti antisismici dei nuovi edifici, avere adeguati piani di risposta in caso di emergenza. Poi, a livello centrale, con una strategia di ampio respiro e di medio-lungo termine per affrontare con successo il problema dei cambiamenti climatici.

Perché ciò non avviene? Lo dice velatamente Sergio Costa, al termine dell’intervista: «per motivi di consenso». In un mondo come quello odierno, concentrato su un eterno presente, in cui tutte le preoccupazioni sono legate esclusivamente al “qui” e “ora”, al contingente, qualsiasi progetto che riguardi il domani, cioè qualcosa che sul momento appare lontana dal singolo e dall’attuale – ma che in realtà il singolo lo riguarda eccome – è impopolare.

E alla politica non importa prendere decisioni giuste e importanti ma impopolari. Alla politica interessa il consenso.

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Matteo Machet
Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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