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Cina: rischio di escalation con Filippine e Taiwan

Cresce la tensione a Taiwan, flotte aeree e navali circondano l'isola, ma l'escalation era prevedibile.

I segnali d’allarme ci sono sempre stati, dalle esercitazioni militari congiunte intraprese da Stati Uniti e Filippine non ci si poteva che spettare una risposta rapida e decisa di Pechino.

I rapporti altalenanti tra Washington e Manila

Appena due amministrazioni statunitensi fa, ovvero durante la presidenza Obama, i rapporti tra Filippine e Stati Uniti ristagnavano in un clima di indifferenza o condanna; l’allora leader filippino Rodrigo Duterte, era solito demonizzare l’omologo statunitense Barack Obama, minimizzando le dispute territoriali di lunga data con Pechino e cercando di attrarre investimenti dal suo gigante vicino a nord.

Con la fine del mandato di Duterte e la conseguente elezione di Ferdinand Marcos Jr lo scorso anno, i rapport tra Manila e Washington si sarebbero riequilibrati, conseguentemente alla nota diffidenza del nuovo capo di governo verso una Cina più assertiva e bramosa di protagonismo internazionale.

Tensione crescente tra la Cina e le Filippine

Incastrata tra gli interessi di due superpotenze del Pacifico, le Filippine hanno resistito a fatica nel destreggiarsi fra le dinamiche competitive intrattenute da Pechino e Washington, un rapporto quello tra USA e Cina caratterizzato da una serie infinita di dimostrazioni di forza e destrezza, culminato nelle ultime settimane con esercitazioni militari per entrambi i protagonisti.

Durante il mese di aprile infatti, le Filippine avrebbero ospitato le sue più imponenti esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti d’America suscitando, come prevedibile, una reazione che si potrebbe definire… “stizzita” da parte di Pechino, che teme per l’incolumità dei propri piani di “difesa” per l’arcipelago.

L’esercitazione militare congiunta avrebbe contato più di 12000 soldati americani affiancati a oltre 5000 soldati delle Filippine, uniti nell’operazione “Balikatan”, esercitazione culminata con la “simulazione” dell’abbattimento di una finta nave da guerra nel Mar delle Filippine occidentale, ovvero la parte del Mar Cinese Meridionale che comprende la Zona Economica Esclusiva delle Filippine.

La reazione di Pechino allo “sconfinamento” di Manila e Washington

Da Pechino non ci sarebbero dubbi, l’improvviso interesse di Washington nel riallacciare i propri rapporti diplomatici con le Filippine, non sarebbe che un disperato tentativo di intromettersi negli obbiettivi che la Cina nutre verso Taiwan.

Lo stesso ambasciatore di Pechino a Manila, Huang Xilian, avrebbe accusato le Filippine di aver “alimentato il fuoco” delle tensioni regionali, piegandosi alle “intromissioni” USA  e offrendo loro un rapido ampliamento delle proprie basi militari nell’arcipelago.

Come già trattato in diverse occasioni nel nostro quotidiano, la bramosia di Pechino nel rivendicare l’autorità cinese nell’isola di Taiwan è fatto ben noto; la riluttanza di Xi Jinping nell’escludere la possibilità di prendere il controllo di Taiwan con la forza, avrebbe allertato Manila, che congiuntamente alle ultime dichiarazioni dell’ambasciatore Huang Xilian, di seguito riportate, hanno contribuito alla richiesta delle Filippine di una garanzia quale il supporto degli Stati Uniti.

“Si consiglia alle Filippine di opporsi inequivocabilmente all’indipendenza di Taiwan, piuttosto che alimentare il fuoco offrendo agli Stati Uniti l’accesso alle basi militari vicino allo Stretto di Taiwan, se ci si preoccupa veramente dei 150.000 OFW (lavoratori filippini a Taiwan)”

A moderare nel tentativo di riappacificare gli animi è stato il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Jonathan Malaya, che avrebbe tenuto a rassicurare Pechino sulle intenzioni ufficiali di Manila nella questione Taiwan: “le Filippine non hanno intenzione di interferire nella questione di Taiwan, i siti dell’EDCA non sono pensati per operazioni offensive contro la Cina o per l’interferenza nei suoi piani.”

In risposta all’intensificarsi delle tensioni, il Ministro degli Esteri cinese Qin Gang, lo scorso venerdì, è volato a Manila per un vertice di tre giorni con il suo omologo delle Filippine, generando un clamoroso nulla di fatto, liquidando i medi accorsi per l’evento con una sterile dichiarazione di circostanza: “spero che la parte filippina gestisca adeguatamente le questioni marittime e relative a Taiwan in linea con gli interessi generali della pace e della stabilità regionale”.

La Cina si prepara ad invadere Taiwan?

In concomitanza alle prove di Forza di Usa e Cina nelle Filippine, resterebbe oggi più che mai altissima la tensione nello stretto di Taiwan, nelle ultime ore infatti il Ministero della Difesa di Taiwan avrebbe denunciato la presenza di una fotta aerea di 38 velivoli militari cinesi intorno all’isola.

Si stima inoltre che almeno 19 componenti di questa flotta avrebbero deliberatamente oltrepassato la “linea mediana” dello stretto di Taiwan, con tutta probabilità nella speranza di suscitare una reazione immediata da parte della Difesa di Taipei o dei suoi alleati (USA), così da giustificare l’eventuale inizio dell’operazione di invasione. Secondo quanto riportato da fonti interne al governo di Taipei, si stimerebbe anche la presenza di almeno sei Navi militari cinesi a largo delle coste di Taiwan.

Che prima o poi Pechino decidesse di dare il via all’operazione di “riunificazione della provincia ribelle di Taiwan” era una possibilità ben nota a tutti gli osservatori internazionali, il perché abbia deciso di agire in questo momento tuttavia può essere soggetto a facili interpretazioni.

in primo luogo Pechino potrebbe sentirsi legittimata alla violazione della sovranità di un’altra nazione conseguentemente alla scarsa risolutezza con cui sarebbe stata condannata Mosca per le operazioni tutt’oggi intraprese in Ucraina.

Secondo poi, come precedentemente riportato, l’intensificarsi dei rapporti tra Washington e Manila, che avrebbero portato gli USA a godere di solide infrastrutture militari nell’arcipelago, presenza che si starebbe intensificando giorno dopo giorno.

Infine, la “goccia che potrebbe aver fatto traboccare il vaso”, sarebbe da ricondursi al noto viaggio di Nancy Pelosi a Taipei lo scorso agosto, che causò il tumulto all’interno del Partito Comunista cinese, che ribadì a scanso di equivoci la propria politica di “un’unica Cina”; sentimenti interventisti che sono riaffiorati dopo che agli inizi di aprile la Presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha fatto scalo negli USA durante una missione che l’ha portata in Guatemala e Belize.

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