Il Trattato di Lisbona

La firma del Trattato di Maastricht del 1992 non portò, inizialmente, alla facilitazione della costruzione di un’Europa ancora più unita e prospera; anzi, venne alla luce quanto i paesi del vecchio continente fossero afflitti da economie arretrate e poco competitive nei confronti di Nord America e Oriente.

All’inizio del 1995, solamente la Germania e il Lussemburgo rispettavano tutti i requisiti di Maastricht, mentre all’esatto opposto vi erano Italia, Grecia e Spagna, che non ne rispettavano alcuno. Per evitare che l’adeguamento ai parametri di Maastricht restasse effimero, la Germania propose e ottenne da parte del Consiglio Europeo l’approvazione del “patto di stabilità e di crescita”, il quale decretava sanzioni – stabilite dal Consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze (ECOFIN) – per i paesi con deficit pubblici superiori al 3% del PIL previsto dal TUE.

A sei anni dalla firma del trattato, nel 1998, venne inaugurata l’Unione monetaria europea (UME), venne istituita la Banca centrale europea (BCE) e venne fissata al 1° gennaio 1999 l’entrata in vigore della moneta unica, chiamata Euro.

Il trattato di Amsterdam

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 erano giunte parecchie richieste di adesione alla CEE, sia da paesi mediterranei (come Turchia, Malta e Cipro), sia da paesi appartenenti all’EFTA (come Austria, Svezia, Norvegia, Finlandia, Svizzera e Liechtenstein). Il Consiglio europeo privilegiò le domande di adesione dei paesi dell’EFTA, in forza dei forti legami già esistenti, e dopo un negoziato iniziato nel 1993 si passò, nel 1995, dall’Europa dei Dodici a quella dei Quindici, con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia.

Nel mentre erano giunte una decina di domande di adesione da parte dei paesi dell’ex blocco sovietico e questo poneva l’Unione ad affrontare alcune questioni: l’allargamento dei confini dentro l’Europa Orientale; l’eterogeneità economica, politica e sociale degli Stati candidati rispetto a quelli dell’UE; l’architettura istituzionale dell’UE, come la composizione della Commissione e le regole delle votazioni del consiglio dei ministri, che non erano state pensate per un numero così elevato di membri. Per i primi due aspetti, il Consiglio Europeo condizionò l’allargamento ad Est al rispetto di una serie di criteri, detti “Criteri di Copenaghen”. Per il terzo nodo, ovvero il funzionamento di un’UE con un numero di stati più che raddoppiato rispetto a Maastricht, si valutò una riforma istituzionale che venne discussa, assieme ad altri punti, in un negoziato che si concluse ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, con la firma di un nuovo trattato integrativo del precedente.

Le innovazioni più importanti del nuovo Trattato di Amsterdam riguardarono il tema dei diritti democratici, i temi delle politiche di immigrazione, diritto di asilo e transito attraverso le frontiere esterne all’Unione e la politica dell’occupazione. Riguardo alla riforma delle istituzioni per l’allargamento dell’Unione, invece, il trattato fu un fallimento, poiché non si venne a capo di alcuna soluzione.

Il trattato di Nizza

L’11 dicembre 2001 venne approvato a Nizza un nuovo trattato fondamentale dell’Unione Europea, firmato e ratificato da tutti e 15 i membri di allora ed entrato in vigore il 1° febbraio 2003. Esso andava a modificare il Trattato di Maastricht (TUE) e i trattati di Roma (TCEE) e comprendeva le nuove riforme istituzionali da attuare in vista dell’adesione degli altri stati, in termini di composizione della Commissione, estensione di voto a maggioranza qualificata, ponderazione dei voti in consiglio e cooperazioni rafforzate tra i paesi dell’Unione Europea.

Nove anni dopo l’enunciazione dei “criteri di Copenaghen” e trovata finalmente la soluzione alla riforma delle istituzioni in vista dell’allargamento, i negoziati si conclusero positivamente (la Commissione, in quel periodo, si trovava sotto la guida di Romano Prodi) e l’Unione arrivò a contare 25 membri nel 2004 (con l’ingresso di Cipro, Estonia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria) e 27 membri nel 2007 (quando riuscirono ad allinearsi agli standard europei anche Bulgaria e Romania).

Il trattato di riforma: Lisbona

Il nuovo allargamento accese nuovamente il dibattito sulla capacità delle istituzioni di offrire una guida forte all’Europa anche dal punto di vista politico. Nel 2000, i paesi membri avevano dato vita ad una “Convenzione”, composta da rappresentanti dei governi e parlamentari, che si era riunita a Nizza e aveva lavorato per 16 mesi ad una Carta costituzionale, la Carta di Nizza, contenente un elenco di princìpi generali che sarebbero stati alla base dell’Unione e uno schema di riforma delle istituzioni comunitarie. La Costituzione però mancò della ratifica, nel 2005, di Francia e Olanda: ancora una volta, il processo di integrazione politica e sociale subiva una battuta d’arresto.

Un nuovo tentativo di rilanciare tale processo avviene il 13 dicembre 2007, quando la CIG si riunisce a Lisbona e sottoscrive un nuovo trattato, il Trattato di Lisbona o anche detto Trattato di riforma, in quanto riforma, appunto, i precedenti trattati: il TUE, che mantiene lo stesso nome, e il TCE, che da “Trattato che istituisce la comunità europea” viene rinominato “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea” (TFUE).

Il Trattato di Lisbona elimina i precedenti “pilastri”, modifica le modalità con cui l’Unione Europea esercita i propri poteri e ne chiarisce le competenze rispetto agli stati membri, dividendole in tre categorie: la competenza esclusiva, secondo cui solo l’Unione può emanare leggi dell’UE e gli Stati membri si limitano alla messa in atto; la competenza concorrente, secondo cui gli Stati membri possono legiferare e adottare atti vincolanti a livello giuridico nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria competenza; la competenza di sostegno, secondo cui l’UE adotta misure che vanno a sostenere o a integrare le politiche degli Stati membri.

Il trattato, inoltre, conferisce all’UE una personalità giuridica propria, permettendole di firmare trattati internazionali relativi ai settori di sua competenza e di aderire ad organizzazioni internazionali; indica, per la prima volta, la procedura formale da seguire nel caso in cui uno degli stati membri decida di recedere dall’Unione Europea, illustrata nell’articolo 50 del TUE; riforma gli aspetti relativi alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Il trattato modifica, in aggiunta, la struttura del parlamento europeo, modificando soglia massima e minima per Stato e fissando a 751 il numero massimo di deputati (diminuito a 705 dopo la Brexit); ne amplia i poteri legislativi, mediante la “procedura legislativa ordinaria”.

Infine, un’ulteriore innovazione importante si ha sul versante democratico, in quanto – pur non incorporandone il testo – il trattato include, sotto forma di allegato, la Carta dei diritti fondamentali (ovvero la Carta di Nizza), conferendole così carattere giuridicamente vincolante all’interno dell’ordinamento dell’UE, come disposto dall’articolo 6.

Pur incontrando qualche ostacolo in fase di ratifica – contro la quale si pronunciò inizialmente l’Irlanda nel giugno 2008 – e riuscendo a superare gli atteggiamenti ostruzionistici del presidente polacco Kaczynski e di quello ceco Klaus, il Trattato di Lisbona poté finalmente entrare in vigore il 1° dicembre 2009.

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