Possiamo annoverare Camillo Benso, conte di Cavour, tra gli esponenti del liberalismo moderato perché la sua politica prese le distanze sia da quella della destra cattolica reazionaria, favorevole alle monarchie assolute, sia da quelle di sinistra democratica, socialismo e repubblicanesimo di Mazzini, che aveva come fine il cambiamento dell’istituzioni e della società attraverso la rivoluzione. Possiamo definire Cavour un liberale in quanto seppe affermare il primato del Parlamento contro quello del re; creò una solida maggioranza parlamentare di centro moderato e uno stabile governo di “centro-destra”; unì il liberalismo politico con quello economico attuando riforme radicali per la sua epoca; favorì miglioramenti economici; lottò per la libertà di stampa – anche se censurò quella mazziniana –; separò lo Stato laico dal potere della Chiesa; abbracciò la causa del Risorgimento e unì la Penisola sotto una monarchia-costituzionale.
Cavour economista liberale
Per capire quanto forte fu l’impatto del liberalismo sul piano economico occorre fare un passo indietro e illustrare brevemente la teoria economica nei sistemi di ancien régime: il mercantilismo. Esso si basava sull’aumentare la disponibilità di moneta dentro allo Stato e rendere la bilancia commerciale attiva. Tutto ciò si traduceva nel favorire le esportazioni rispetto alle importazioni e nell’attuazione di politiche protezionistiche per il proprio mercato interno attraverso dazi. Ricordiamo ancora che in questo contesto storico non si era ancora sviluppata l’industria contemporanea. Comunque, l’idea di fondo di questa teoria economica era che la ricchezza non si creava, ma aveva un valore assoluto che si poteva aumentare o diminuire solo tramite il commercio o la guerra.
Torniamo ora al XIX secolo. La rivoluzione industriale trasformò radicalmente l’economia e la società degli Stati europei, anche se non in maniera uniforme. Negli Stati italiani, ad esempio, le innovazioni furono recepite con un certo ritardo, e inizialmente solo in alcuni settori specifici dell’economia. Uno di questi, quello maggiormente sviluppato nell’Italia del Nord, la parte della penisola più a contatto con gli altri Paesi europei, era il settore dell’industria tessile: grazie alle migliorie tecnologiche che progressivamente vennero introdotte in questo settore, si formò l’idea che la creazione della ricchezza fosse direttamente collegata al suo sviluppo, motivo per cui fu in questo campo che vennero progressivamente introdotti i primi macchinari industriali. Una seconda radicale novità fu che tale industria richiese l’espansione del mercato e, per la prima volta nella storia, una gran quantità di prodotti veniva creata e venduta a prezzi sempre più convenienti, permettendo anche ai gruppi della popolazione di basso reddito di affacciarsi al mercato. Successivamente l’industria del ferro, insieme alla formazione di grandi centri urbani e al bisogno sempre più crescente di grandi commerci, permise che l’aumento e il miglioramento delle vie di comunicazione, attraverso lo sviluppo della ferrovia e delle navi a vapore.
La dottrina economica liberale del XIX secolo era quella del libero-scambismo, che prevedeva una totale opposizione a protezioni doganali, divieti e vincoli sul mercato; dalla libertà degli scambi sarebbero derivati a propria volta sia l’incremento del commercio sia la riduzione delle materie prime.
Cavour, essendo nella vita privata un abile imprenditore agricolo, in campo economico vedeva nello sviluppo produttivo la premessa indispensabile per il progresso politico e civile. Negli anni di governo dello statista, per sviluppare l’economia del Piemonte e per integrarla nel contesto europeo, furono stipulati una serie di trattati commerciali, furono progressivamente aboliti i dazi sul commercio, fu sviluppato un sistema capillare di ferrovie che stimolò il commercio e la nascente industria siderurgica e meccanica e fu creata una banca nazionale. Queste riforme portarono il Regno di Sardegna, in meno di un decennio, all’avanguardia tra gli Stati italiani. Il riformismo economico dello statista piemontese, come quello politico, si contraddistinse per un forte approccio moderato e pratico. Ad esempio, la riduzione dei dazi protettivi fu attuata con gradualità, evitando così effetti troppo imprevisti sulle produzioni da liberalizzare; riguardo all’industria tessile, preferì invece mantenere la vecchia struttura dell’allevamento colonico dei bachi da seta rispetto alle grandi concentrazioni di tipo francese.
Cavour politico liberale
Cavour, negli anni giovanili, passò un periodo in Inghilterra, esperienza che fu fondamentale nella sua formazione intellettuale, sia economica che politica. Toccare con mano il funzionamento dello Stato inglese lo rese un grande sostenitore del modello britannico: una monarchia-costituzionale in cui il centro decisionale era il Parlamento e un ordine sociale fondato sulla proprietà privata e sulla libertà individuale. Possiamo parlare di un sistema liberale in quanto le elezioni erano riservate a un ristretto numero di persone: il diritto di voto, infatti, era limitato da rigidi criteri di censo – solo chi pagava una certa quota di tassazione era considerato un cittadino attivo per la vita politica.
Nel mondo liberale del Parlamento Subalpino piemontese degli anni ‘50 del XIX secolo, Cavour seppe formare una forte maggioranza creando un grande centro moderato che guardava per la prima volta alla sinistra democratica. Le riforme liberali in Italia vennero introdotte a partire dal 1850, quando Cavour era Ministro dell’Agricoltura e Commercio, e in maniera ancora più incisiva dal 1852, quando divenne Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna.
Egli continuò la sua opera di trasformazione del Regno sabaudo in uno Stato laico, processo che era iniziato nel 1850 con le leggi Siccardi, le quali avevano abolito il foro ecclesiastico e il diritto di asilo. Cavour eliminò ulteriormente i privilegi del clero sopprimendo e assorbendo i beni di tutti gli ordini religiosi contemplativi, poiché dai liberali erano considerati privi di utilità per la società. Cavour diede al Regno di Sardegna un volto stabile di una monarchia-costituzionale moderna, facendo sposare la causa dell’Unita sotto la bandiera dei Savoia a vari gruppi di patrioti italiani, Garibaldi primo tra tutti.