Sono appena iniziati gli anni ’90, il muro di Berlino è stato abbattuto e la Germania è finalmente riunita. Il blocco sovietico perde il suo potere a livello internazionale, i partiti comunisti in Europa iniziano a naufragare. L’Italia è definita, da qualche giornale estero, “repubblica delle banane”: locuzione riferita tipicamente a quei paesi (specialmente del sud America) retti da una politica instabile e corrotta. Difatti, lo stivale è scosso, in quegli anni, da un potente terremoto, che causerà un importante crollo: quello della – così definita – “Prima Repubblica”.
Il 1992
Il ‘92 è un anno decisamente turbolento per l’Italia, interessata da una serie di eventi che ne influenzeranno il corso della storia politica, economica e sociale.
A fine gennaio, la Corte di Cassazione emette una sentenza durissima nel “Maxiprocesso” contro la mafia – in atto da 6 anni – che vede alla sbarra più di 400 imputati, molti dei quali subiranno pesantissime condanne. Sempre alla mafia sono legati i tragici avvenimenti che hanno caratterizzato la strategia stragista di Cosa Nostra per arrivare alla trattativa Stato-mafia: il 12 marzo, come risposta al maxiprocesso, viene freddato sul lungomare di Mondello Salvo Lima, democristiano siciliano e braccio destro del presidente Andreotti; il 23 maggio è ricordato per la strage di Capaci, che costa la vita al magistrato Falcone, alla moglie e ai tre agenti della sua scorta; il 19 luglio perdono la vita, per un attentato in via D’Amelio, il giudice Borsellino e le donne e gli uomini della sua scorta.
In parallelo al fenomeno mafioso, un altro evento scuote e definisce l’anno 1992, un evento che darà inizio alla disgregazione del tessuto politico che aveva rappresentato, fino ad allora, lo scheletro dell’Italia dall’avvento della Repubblica. A Milano viene scoperchiato in via definitiva un sistema diffuso di corruzione: emerge una città sommersa fatta di tangenti. Il caso, invero, viene nominato “Tangentopoli”.
Tangentopoli: gli eventi
È il 17 febbraio 1992 e Luca Magni, un piccolo imprenditore la cui pulizia di imprese aveva partecipato all’appalto della casa di cura milanese Pio Albergo Trivulzio, si reca da Mario Chiesa, presidente dell’istituto ed esponente del Partito Socialista milanese, per pagare la seconda “rata” della percentuale dell’appalto di 140 milioni. Magni è agitato, ha una penna nel taschino che in realtà è un microfono e una telecamera nascosta nella ventiquattrore. Non sa, però, che sta per dare il via all’inchiesta che scuoterà per anni l’intero Bel Paese: “Mani Pulite”.
L’indagine viene coordinata dalla Procura di Milano, sotto la guida di Francesco Saverio Borrelli e dall’aggiunto Gerardo D’Ambrosio. Inizialmente viene assegnata ai Pm Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo, supportati in seguito da altri magistrati.
Il primo indagato ufficiale è, appunto, Mario Chiesa, che sa tutto, ma non dice una sola parola. Non parla neanche quando Di Pietro sussurra al suo difensore l’iconica frase “l’acqua minerale è finita”, riferendosi al fatto che avevano scoperto i suoi conti nascosti in Svizzera, chiamati con i nomi di due noti marchi di acque, riempiti dal frutto di tangenti. Chiesa non proferisce parola fino a quando non sente Bettino Craxi, segretario del suo partito, definirlo “mariuolo”: a quel punto inizia a parlare e parla per sette giorni, al termine dei quali porta alla luce un sistema di corruzione che ha come protagonisti imprenditori e i principali partiti della scena politica.
Quella confessione funziona da trigger per quella che è possibile definire la “rivoluzione di mani pulite”. L’inchiesta tocca tutti i vertici della politica italiana, a partire da Craxi (PSI) – il quale, in un discorso alla camera, il 3 luglio ‘92, ammette che il sistema di corruzione non solo esiste, ma è un sistema collaudato dal secondo dopoguerra e di cui tutti sono tacitamente a conoscenza – e passando per Claudio Martelli (ministro della giustizia), Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri (l’ex e l’allora sindaco di Milano), Severino Citaristi (segretario amministrativo della DC), Giorgio La Malfa (segretario del PRI), Renato Altissimo (PLI); perfino Umberto Bossi – il segretario di quella Lega Nord che in Parlamento aveva agitato un cappio – il quale ammise di aver ricevuto contributi dalla Montedison. Ma non solo i vertici: è il caso del militante comunista Primo Greganti, il “compagno G”. E non solo politici e imprenditori, ma anche big del mondo della finanza furono investiti, in quegli anni, da provvedimenti giudiziari di vario genere.
Particolarmente fragore fece la rivelazione di Sergio Cusani, manager finanziario e braccio destro dell’imprenditore Raul Gardini, su quella che passerà alla storia come “la madre di tutte le tangenti”: 150 miliardi di lire versati dalla ditta Enimont a tutti i partiti.
Molti furono i grandi imprenditori e i politici che in quegli anni videro spostata, per tempi più o meno lunghi, la loro residenza a San Vittore, così come molti furono coloro che non sopportarono una tale condizione, o semplicemente l’idea di essa: nell’arco di 3 anni, sono stati documentati più di 30 suicidi legati all’inchiesta, come quelli di Sergio Moroni, Gabriele Cagliari, Raul Gardini. La magistratura, infatti, verrà accusata di usare il carcere preventivo per estorcere confessioni, di usare metodi “infami”, di soprusi nei confronti degli indagati. Ben presto si avviò anche una “macchina del fango” nei confronti di Di Pietro, che per tutta risposta – per salvare l’indagine, dirà lui stesso –, nel 1994, si dimetterà dal caso e dalla magistratura.
Il bilancio dell’inchiesta è tragico. Tra 1992 e 1994, più di 4500 persone vengono coinvolte a vario titolo; di esse più di 1200 sono condannate in via definitiva e più di 800 prosciolte per merito o per prescrizione.
La fine della “Prima Repubblica”
Durante gli anni delle inchieste, certamente è la politica a subire i colpi maggiori, e non può far altro che riformarsi. Alle elezioni del 5 e 6 aprile del 1992 la sfiducia è ai massimi livelli e cresce l’astensionismo. Le forze tradizionali perdono parecchi voti, cedendoli a nuovi partiti, come la Lega Nord di Bossi. Il 25 aprile Cossiga si dimette da Presidente della Repubblica e al suo posto verrà eletto, il mese dopo, Oscar Luigi Scalfaro. Al governo si susseguono intanto Giuliano Amato prima e Carlo Azeglio Ciampi poi, primo non politico alla guida dell’Italia repubblicana. Intanto, viene persino sciolta la Democrazia Cristiana.
Si arriva così alle elezioni del 1994, le prime in cui il simbolo della Dc non compare sulle schede elettorali. All’inizio di quell’anno era nato un nuovo partito, Forza Italia, con a capo un imprenditore che diventerà uno dei politici più rilevanti della scena politica dei vent’anni seguenti: Silvio Berlusconi. Ed è proprio lui a vincere quelle elezioni e a formare un nuovo governo di centro-destra, assieme alla Lega Nord, Alleanza Nazionale e il neonato Centro Cristiano Democratico. Proprio l’affermarsi di questo nuovo assetto politico, con la vittoria di partiti nuovi e il tracollo di quelli tradizionali, ha dato inizio a quella che, giornalisticamente parlando, è conosciuta come “Seconda Repubblica”.