Il malcontento della società per le politiche di austerità del governo Monti e la profonda sfiducia verso la politica tradizionale, la crisi del centro-destra di Berlusconi e, parallelamente, la scissione del Pd sul tema delle riforme istituzionali diedero presto i propri frutti. Nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018 emersero due nuove forze: Il Movimento 5 Stelle, che ottenne il 32,7%, e la Lega di Salvini – profondamente trasformata da quella “originaria” degli anni ’90 –, che ricevette il 17,4% di preferenze; Forza Italia, che fino a quel momento era stato il primo partito dell’area del centro-destra, ottenne il 14%; il Partito Democratico, nuovamente con Renzi alla sua guida, si attestò al 18,7% mentre Liberi e Uguali, la minoranza ribelle del Pd renziano, si affermò con poco più del 3%.
Questa svolta nella politica italiana è stata identificata, da alcuni, come l’inizio della Terza Repubblica o, per essere più recisi, l’inizio della stagione populista. Venne a formarsi nel giugno 2018, dopo due mesi di mancati accordi, un governo di coalizione giallo-verde guidato da un professore universitario non eletto, l’avvocato del popolo, Giuseppe Conte, supervisionato da due vicepremier, una nuova figura istituzionale creata appositamente tale governo e ricoperta dai due segretari dei partiti vincenti: Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Oltre a questo ruolo, il leader della Lega ottenne il Ministero dell’Interno, mentre quello del M5S il Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico.
Il contratto di governo che fu siglato tra questi due partiti prevedeva l’abbassamento della pressione fiscale; il reddito di cittadinanza che era stato al centro della campagna elettorale pentastellata; la modifica della riforma delle pensioni varata dal governo Monti con una nuova formula, “quota 100”; nuove leggi sulla sicurezza e sull’immigrazione volute fortemente da Salvini e con il tacito consenso degli alleati di governo. Il terreno comune era la volontà di superare i partiti tradizionali, soprattutto per il M5S, e l’aperta sfida all’Unione Europea: questi due partiti si rappresentarono alle elezioni come dei paladini della società civile che da anni si sentiva abbandonata dalle istituzioni e dei partiti tradizionali. Tuttavia, quello che separava le due forze di governo erano le politiche industriali per il Nord promosse dalla Lega e le tematiche ecologiche e antindustriali fatte proprie dai Cinque Stelle
Si sa bene che il carnevale, nella storia italiana, è una costante, e anche in questa fase non mancarono autogol del tutto gratuiti: ad esempio l’affermazione di Conte di essersi laureato a Oxford, poi confutata dai registri ufficiali di tale università; nel settembre 2018 l’esultanza sul balcone di Palazzo Chigi, degna di una curva calcistica in uno stadio, di Di Maio dopo l’approvazione della manovra economica – o, così è stata chiamata dal vicepremier, «l’abolizione della povertà».
La Lega di Salvini
La Lega ottenne il 17,4% dei voti alle elezioni del 2018 presentandosi come un partito in cui il vecchio nazionalismo padano cedeva il posto per quello italiano. Salvini riuscì abilmente a imporre questa svolta concentrando tutta la campagna elettorale, dal Nord al Sud, sulla questione dei migranti e sulla sicurezza. Questa dialettica populista fece facilmente breccia nell’elettorato a causa dello scoppio nel 2015 sia della crisi dei rifugiati, sia della stagione del terrorismo internazionale, specie in Francia, di matrice islamica.
Nell’agosto 2019 la fine del governo gialloverde è avvenuta per mano di Salvini, che fece mancare il proprio appoggio alla maggioranza presentando una mozione in Senato. Una mossa che ricordò la caduta del primo governo Berlusconi per mano di Bossi ma che, realisticamente, consentì alla Lega e al M5S di non farsi carico di emettere una nuova di legge di stabilità in un quadro di stagnazione economica: entrambi ne uscirono lavandosene le mani.
Il Movimento 5 Stelle di Casaleggio e Grillo
L’affermarsi del M5S, con l’idea di portare nelle case degli italiani le decisioni politiche tramite il web, creò un’autentica spaccatura nella politica. Da una parte si situavano i partiti tradizionali credevano nella democrazia rappresentativa e nella democrazia dei partiti, in cui i dibattiti e la creazione di consenso passavano attraverso la stampa e i talk show televisivi; dall’altra, il mondo della rete, che voleva realizzare una democrazia diretta digitale superando ogni intermediazione politica tra i cittadini e le istituzioni – insomma, un nuovo mondo senza partiti, giornali, televisioni –; da un lato, quelli della Seconda Repubblica che credevano nel sapere dei tecnici per superare la Grande Recessione e le sfide della globalizzazione; dall’altra, i nuovi della Terza Repubblica che credevano nelle virtù della gente comune, che contrapponevano al docente universitario l’anonima casalinga in quanto simbolo di onestà. I primi erano impegnati nel creare un aumento della crescita economica senza però aumentare il debito pubblico, sempre sorvegliato dall’Unione europea; i secondi erano propensi alla decrescita economica, senza rendere conto a nessuno, come soluzione per scappare dalla trappola del capitalismo globale.
Da molti il risultato elettorale del M5S è stato descritto come una manifestazione di rabbia sociale galvanizzata dal populismo: rivolta ai processi della globalizzazione, sentimenti anticasta, giustizialismo e acuta insofferenza nei confronti della classe dirigente tradizionale.