1° febbraio 1893. Termini Imerese, Palermo.
Sul treno che da Termini porta a Palermo c’è un uomo. Capelli brizzolati, vestiti eleganti. È sulla sessantina. Appoggiato alle pareti della carrozza in cui è seduto c’è un fucile. L’uomo ce l’ha sempre con sé da quando, nel 1882, è stato rapito a Caccamo, nei dintorni di Palermo. Ed è sempre carico. Tranne questa volta. L’ha scaricato appena salito sul treno, poi si è addormentato. Quell’uomo è il marchese Emanuele Notarbartolo.
Notarbartolo è un uomo importante, in Sicilia. Nel 1860 si è unito ai Mille di Garibaldi quando sono sbarcati in Sicilia, ha seguito il generale e ha combattuto nella battaglia di Milazzo. Poi, dopo l’Unità, si è avvicinato alla Destra storica, il partito di Cavour, Minghetti, e del suo conterraneo Antonio Di Rudinì. Nel 1873 è sindaco di Palermo e nel 1876 viene nominato direttore generale del Banco di Sicilia, l’istituto bancario isolano che in quegli anni si trova in enorme difficoltà – addirittura rischia il fallimento. Con grande abilità, il marchese Notarbartolo riesce a risollevarne le sorti. Ma per riuscirci, si fa dei nemici.
In particolare, entra in aperto contrasto con Raffaele Palizzolo. L’onorevole Palizzolo è un personaggio noto, a Palermo. Ha ricoperto decine di incarichi amministrativi nel consiglio comunale e, dal 1882, è deputato del Regno. Ma, si dice, Palizzolo è anche un uomo vicino alla mafia, alla cosca di Villabate, zona in cui ha diversi possedimenti. Notarbartolo entra in conflitto con Palizzolo perché ha scoperto che il deputato, che siede nel consiglio d’amministrazione della banca, ha intrapreso operazioni speculative a dir poco avventate. E, infatti, ha rischiato di mandare il Banco di Sicilia a gambe all’aria. Ma non ha alcuna intenzione di abbandonare la sua posizione, né tanto meno di farsi dire da qualcun altro cosa fare.
Le denunce di Notarbartolo vanno avanti finché, nel 1889, non viene rimosso dal suo incarico. Al suo posto, viene messo un pezzo grosso della Navigazione Generale Italiana, la compagnia marittima nata nel 1881 dalla fusione tra la Rubbettino e la Florio. Dopo anni di buona gestione, e senza più la supervisione di Notarbartolo, al Banco di Sicilia torna il caos. Speculazioni, operazioni folli. Il Banco è di nuovo a rischio, e si vocifera di un ritorno alla direzione di Notarbartolo. Ma il marchese, al Banco di Sicilia, non tornerà mai.
Sul treno, il marchese non è solo. Poco dopo di lui sono saliti due uomini, con la compiacenza dei ferrovieri. Sono due killer della mafia. Raggiungono il vagone dove Emanuele Notarbartolo si è appisolato, si avvicinano e lo finiscono con 27 coltellate. Dopo, sollevano il corpo, lo trascinano per la carrozza e lo gettano dal treno, in mezzo alla terra e alla polvere. Il 1° febbraio 1893, la mafia commette il primo omicidio “eccellente” della sua storia. Il primo da quando è nata, all’indomani dell’Unità. E tale rimarrà fino al 1971, quando la mafia uccise il procuratore generale di Palermo, Pietro Scaglione.
Le indagini sull’omicidio di Emanuele Notarbartolo iniziano, e subito ci sono i primi depistaggi. I sospetti si arenano sui ferrovieri, nonostante le testimonianze portino due nomi, quelli degli esecutori materiali. E, si dice, che il mandante sia proprio Raffaele Palizzolo, che infatti verrà processato. Ma questa è un’altra storia.
Se vi interessa approfondirla, trovate una bellissima ricostruzione di Salvatore Lupo, Tra banca e politica: il delitto Notarbartolo, pubblicato nel numero 7-8 (1990) della rivista “Meridiana”, scaricabile gratuitamente sul sito stesso della rivista.