Giovedì 4 maggio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il “Decreto Lavoro” (decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48), dopo che questo è stato approvato nella discussa riunione del Consiglio dei ministri del 1° maggio.
Così, a partire da venerdì, sono entrate in vigore nuove regole nel mondo del lavoro: in particolare, il governo ha realizzato le promesse principe della campagna elettorale, la cancellazione del Reddito di cittadinanza e un ulteriore taglio del cuneo fiscale.
L’assegno di inclusione
A sostituire il Reddito di cittadinanza “quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli”, a partire dal 1° gennaio 2024 ci sarà il nuovo Assegno di inclusione. Potranno beneficiarne i nuclei familiari con un Isee inferiore ai 9.360 euro e un reddito complessivo non superiore ai 6.000 euro annui (cifra che va poi moltiplicata per il parametro della scala di equivalenza). Il limite reddituale sale a 7.560 euro annui per i nuclei familiari composti da persone over 67 e da over 67 e persone disabili o non autosufficienti.
L’importo dell’assegno è di 500 euro mensili (780 per chi vive in affitto), verrà erogato per un massimo di diciotto mesi continuativi e può essere rinnovato per periodi di ulteriori dodici mesi se interviene un’interruzione di almeno un mese. Come già il Reddito di Cittadinanza, anche l’Assegno di inclusione verrà erogato su una carta speciale, la Carta di inclusione. Ne verrà fornita una a ogni membro maggiorenne del nucleo “che concorre alla definizione del beneficio”, sulla quale il credito verrà erogato in maniera suddivisa.
Per accedervi, il richiedente dell’assegno (così come i beneficiari) deve essere maggiorenne, residente in Italia in maniera continuativa da almeno due anni e deve esserlo stato complessivamente per almeno cinque anni; non deve essere sottoposto a “misura cautelare personale, a misura di prevenzione” e non deve avere “sentenze definitive di condanna o adottate ai sensi dell’articolo 444 del Codice di procedura penale intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta”.
Soprattutto, i beneficiari “occupabili” (quelli che hanno tra i 18 e i 59 anni e sono abili al lavoro) dell’assegno devono registrarsi al Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (SIISL), creato ad hoc dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per facilitare l’incontro tra domanda e offerta in base alle caratteristiche e alle competenze dell’utente. Inoltre, altro obbligo è quello di cercare attivamente lavoro attraverso i centri per l’impiego.
Questo passaggio è dirimente, perché il beneficiario è obbligato ad accettare un’offerta di lavoro con contratto di almeno un mese, pena la perdita dell’assegno per tutto il nucleo familiare. Ci saranno, comunque, dei paletti a questo obbligo: sulle offerte di lavoro a tempo pieno e indeterminato o a tempo determinato superiore a 12 mesi non ci sono limiti di distanza da casa, ma per tutte le offerte a termine di durata inferiore all’anno, l’obbligo è valido solo per distanze entro gli 80 km dal luogo di domicilio. Se il lavoro accettato è a tempo determinato, compreso tra 1 e 6 mesi, l’Assegno è sospeso d’ufficio.
Incentivi alle assunzioni
Parallelamente, sono previsti incentivi all’assunzione per i datori di lavoro privati che assumono i beneficiari dell’Assegno di inclusione.
Nello specifico, ai datori privati che assumono i beneficiari dell’Assegno, tramite il SIISL, a tempo indeterminato o tramite apprendistato, viene riconosciuto per un anno l’esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro per un importo fino a 8.000 euro annui – sono esclusi i premi e i contributi dovuti all’Inail. L’importo, tuttavia, dev’essere restituito – maggiorato dalle sanzioni – se il datore licenzia (non per giusta causa o giustificato motivo) il beneficiario dell’assegno entro due anni dall’assunzione.
Per i datori privati che, invece, tramite il SIISL assumono a tempo determinato o stagionale, viene riconosciuto per massimo un anno, e comunque non oltre la durata del contratto, l’esonero del 50% dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro per un importo massimo di 4.000 euro annui – sono sempre esclusi i premi e i contributi Inail. Sgravi contributivi fino al 60% sono previsti anche per le aziende che assumono i Neet.
Altri incentivi vengono dati alle agenzie per il lavoro, che riceveranno un contributo del 30% dell’incentivo massimo annuo riconosciuto ai datori di lavoro privati per ogni soggetto assunto grazie alla loro intermediazione, e per alcuni enti (dal 60% all’80% dell’importo riconosciuto ai datori privati).
Infine, ai beneficiari che decidessero di avviare un’attività autonoma o di impresa individuale, verranno riconosciuti in una unica soluzione sei mensilità dell’Assegno di inclusione, fino a 3.000 euro totali.
Il Supporto per la formazione e il lavoro
Una novità introdotta dal Decreto Lavoro è il Supporto per la formazione e il lavoro, che sarà attivo a partire dal 1° settembre 2023. Tale misura è stata pensata per tutte quelle persone occupabili con Isee inferiore a 6.000 euro annui ma che non possono usufruire dell’Assegno di inclusione perché non rientrano nei parametri, oppure dai componenti dei nuclei che percepiscono l’assegno ma che non sono calcolati nella scala di equivalenza.
Sono inclusi, in questo nuovo istituto, progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione lavorativa, percorsi di orientamento e di accompagnamento al lavoro.
Tuttavia, il Supporto per la formazione e il lavoro è incompatibile con il Reddito di cittadinanza (che rimarrà in vigore fino alla fine del 2023) e la Pensione di cittadinanza. Il Decreto prevede anche un riconoscimento economico di 350 euro mensili, per un massimo di dodici mesi, per chi partecipa ai programmi formativi erogati da soggetti accreditati alla formazione dai sistemi regionali e da enti bilaterali e a progetti utili alla collettività proposti dal Supporto per la formazione e il lavoro.
Più soldi ma meno garanzie: taglio del cuneo fiscale, welfare aziendale e contratti di lavoro
Il Decreto aumenta il taglio del cuneo fiscale a carico dei dipendenti. Per i periodi di paga dal 1° luglio al 31 dicembre 2023, infatti, l’esonero salirà di un ulteriore 4%: per i redditi fino a 25.000 euro annui passerà dal 3% al 7%, mentre per quelli fino a 35.000 euro salirà dal 2% al 6%. Ciò si tradurrà, in busta paga, in circa 60 euro in più rispetto a quanto previsto in Legge di bilancio 2023. Per tutto il 2023, poi, la soglia non tassabile dei fringe benefits aumenta a 3.000 euro, ma solo per i dipendenti con figli a carico.
Più soldi, quindi, per i dipendenti, ma meno garanzie. Il nuovo decreto, infatti, rende molto più semplice, per i datori di lavoro, utilizzare i contratti a tempo determinato, i contratti di apprendistato e i voucher. Per quanto riguarda i rinnovi dei contratti a tempo determinato decade l’obbligo di indicare le “causali”, mentre per le stipule di nuovi contratti a termine si rimanda alla contrattazione collettiva, aziendale o a quella tra datore e lavoratore.
Insomma, diminuisce la tutela del dipendente di fronte al datore di lavoro, rendendo ancora più squilibrato un rapporto già di per sé sbilanciato.
Le reazioni
Com’era prevedibile, le misure previste dal decreto hanno scatenato la reazione delle opposizioni, che vedono nel Decreto Lavoro un’ulteriore precarizzazione dei lavoratori e una penalizzazione per i percettori del Reddito di cittadinanza che, da quando è stata varata la misura nel 2019, sono stati oggetto di reiterate accuse di “nullafacentismo”. Esulta, invece, la maggioranza, che finalmente riesce a mantenere una promessa fatta in campagna elettorale.
E che ora punta alla riforma costituzionale.