Ieri è stata la tanto attesa giornata delle elezioni nazionali dopo la fine anticipata della legislatura. Come i sondaggi e gli osservatori avevano ampiamente previsto, la coalizione di centro-destra sta stravincendo la partita: alle ore 14, 43,8% di preferenze alla Camera e 44% al Senato, con 110 candidati eletti all’uninominale nella prima e 45 nel secondo.
Per la coalizione di centro-sinistra la distanza è abissale: 26,1% alla Camera e 26% al Senato, ma soprattutto solo 11 candidati all’uninominale alla prima e 5 al secondo. Sonora sconfitta, dunque, per il Partito Democratico (19%), che non è riuscito a migliorare i risultati del 2018 e che ha perso in alcune delle sue roccaforti (Toscana e Roma centro, per esempio).
Pesa, sul Pd, il mancato accordo con il Movimento 5 Stelle, che all’inizio della campagna elettorale era dato per spacciato ma che a sorpresa si attesta come terzo partito dopo Fratelli d’Italia e il Partito Democratico con il 15,4% delle preferenze. Conte ha recuperato terreno a livello nazionale soprattutto grazie al voto del Sud Italia, e l’affluenza in Campania è stata fortemente condizionata dall’eccezionale maltempo che si è abbattuto su quella regione, altrimenti chissà se avrebbe potuto fare ancora meglio.
È rimasto invece deluso Calenda, che aveva affermato di considerare come una sconfitta un risultato inferiore al 10% per il Terzo Polo: 7,8% e sconfitta al collegio uninominale di Roma in cui si era candidato, battuto da Emma Bonino e dalla vincitrice del seggio, Livia Mennuni di Fratelli d’Italia.
È proprio Fratelli d’Italia il vincitore di queste elezioni. Da solo, il partito di estrema destra ha raccolto il 26% dei voti, trainando l’intera coalizione alla vittoria. Perché al suo interno incontriamo Matteo Salvini ha visto dimezzare gli elettori della sua Lega rispetto alle politiche del 2018 (8,8% oggi contro il 17,8% di quattro anni fa) e alle europee del 2019, dove addirittura aveva ricevuto il 32% delle preferenze. Salvini ha pagato con gli interessi l’ambiguità della sua esperienza di governo e l’appoggio al governo Draghi.
Molto vicino alla Lega si è posizionata Forza Italia, che si stabilizza attorno all’8% e permette a Silvio Berlusconi di rientrare in Parlamento, per la precisione al Senato, dopo i due anni di interdizione dai pubblici uffici comminatigli nel 2014. Non supera invece la soglia di sbarramento l’ultimo partito della coalizione, Noi Moderati, che ha ottenuto appena lo 0,9%.
Brutte notizie anche all’interno della coalizione di centro-sinistra. L’unico partito oltre al Pd a superare la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento è l’Alleanza Verdi e Sinistra (3,6%), che è riuscita anche a far eleggere Ilaria Cucchi. A un passo dall’ingresso alla Camera +Europa, che si ferma al 2,85%. Infine, nemmeno l’1% per Impegno Civico di Luigi Di Maio, che passerà dalla carica di Ministro degli Esteri a non fare nemmeno parte del prossimo Parlamento.
Infine, non superano le soglie di sbarramento Italexit di Paragone e Unione Popolare di De Magistris, così come le altre liste minori che hanno presentato la loro candidatura.
Cosa aspettarci ora?
Salvo imprevisti dell’ultima ora, quindi, con ogni probabilità Giorgia Meloni sarà chiamata dal Presidente della Repubblica a formare un nuovo governo.
La vittoria di Fratelli d’Italia è un risultato storico sotto tanti punti di vista. In primis, l’Italia avrà per la prima volta un Premier donna, e questa è una notizia di eccezionale importanza: dimostra che, dopo tutto, passi in avanti per quanto riguarda la parità di genere in Italia se ne sono fatti, nonostante ci siano sempre state forze politiche che hanno provato a mettere ostacoli su questa strada. Ed è paradossale che a esprimere il primo premier donna della storia italiana sia un partito di estrema destra che ha una visione estremamente conservatrice, per non dire retrograda, sul piano dei diritti delle donne – ne è una dimostrazione il fatto che nelle Marche, regione governata da Fratelli d’Italia, sia quasi impossibile abortire – e dei diritti civili, sulla famiglia e sull’integrazione. Un traguardo sulla strada del progresso, insomma, è stato ottenuto da un partito e da una leader che di progressista non hanno proprio nulla, anzi.
Ed ecco il lato, a mio parere negativo, di questi risultati. Con la vittoria di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni non hanno vinto solo un partito e un leader, ma ha vinto una visione del mondo. Le urne parlano chiaro. La maggioranza di chi è andato a votare ha scelto che, almeno per i prossimi cinque anni, l’Italia combatta l’immigrazione e limiti l’integrazione di chi è a tutti gli effetti, ma non sulla carta d’identità, italiano; che non lasci spazio ai diritti delle coppie omosessuali; che non riconosca la complessità della questione di genere; che non si doti di leggi sul fine vita; che renda difficile alle donne praticare l’aborto; che reprima nel sangue le forme di protesta; che si avvicini sempre di più a modelli di governo non democratici alla Orbàn; che affronti la questione dell’emergenza climatica come una cosa da radical chic e giovinetti viziati; che permetta alla religione di informare la vita del Paese, in barba alla separazione tra Stato e Chiesa e alla laicità dello Stato stabilita dalla Costituzione.
Sotto questo punto di vista, però, la situazione non è drammatica quanto potrebbe sembrare, perché i partiti che in campagna elettorale hanno promosso questi temi e si sono presi l’impegno di combattere le disuguaglianze e ottenere più ampi diritti civili verranno quasi tutti rappresentati in Parlamento. Coalizione di centro-sinistra, Movimento 5 Stelle, Terzo Polo hanno raggiunto, se sommati assieme, quasi il 50% dei voti, perciò potranno costituire, almeno su questi argomenti, un’opposizione compatta.
La Grande sconfitta: affluenza ai minimi storici
Potremmo stare qui ancora molto a ragionare su vincitori e perdenti, sugli equilibri interni ai partiti, sui motivi che hanno portato Fratelli d’Italia a dominare le elezioni.
La realtà, però, è che oggi non ci sono veri vincitori. Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, infatti, l’affluenza alle urne non ha superato il 70%, registrando il suo dato peggiore di sempre: ieri si sono presentati alle urne solo il 63,9% degli aventi diritto. È stato il 36% degli elettori a non votare, per i motivi più diversi: protesta, disinteresse, certezza del risultato, sentimento di non contare, impossibilità di recarsi alle urne.
In ogni caso, è una sconfitta per tutti.
Per lo Stato, che ha reso estremamente difficile a 5 milioni di fuorisede recarsi alle urne per esprimere il proprio voto e a un altro milione di italiani di fatto ma stranieri sulla carta d’identità ha vietato di esprimersi.
Per la politica, che ha allontanato un’altra fetta di cittadini dalla partecipazione alla vita comunitaria con il suo egoismo, i suoi calcoli utilitaristici, la sua volontà di riprodurre e rappresentare esclusivamente sé stessa, costituendo una bolla a parte che le persone sentono sempre più aliena, distante, chiusa in sé stessa, tranne che in campagna elettorale, quando si tratta di raccogliere i voti.
Per i cittadini stessi, che rinunciano così a uno dei pochi modi, ma sicuramente il più importante, che hanno per far sentire la propria voce, per esporre quali sono i loro problemi e trovare delle soluzioni, per decidere il futuro che vogliono per loro e per chi verrà dopo di loro.
Diceva Sandro Pertini: «io combatto la tua idea che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi al prezzo della mia vita perché tu la tua idea la possa esprimere sempre liberamente». È questa l’essenza della democrazia. Ebbene, ieri quasi un italiano su tre ha scelto di tacere, di non battersi per la propria idea, lasciando all’inerzia decidere delle sorti del proprio Paese.
Oggi, quindi, c’è solo una grande sconfitta, assordante nel suo silenzio: la sconfitta della democrazia.