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L’Italia e l’Unione Europea

Romano Prodi, Italian Prime Minister, was received by José Manuel Barroso, president of the EC

Il rapporto tra l’Italia e l’Unione Europea è una storia di amore e odio, delusione e tradimenti, momenti felici e pianti isterici, unione e abbandono, ma soprattutto di volontà e di necessità. L’inizio di questo rapporto, tutt’altro che platonico, ebbe inizio nel 1951 con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca) e nel 1957 con la firma del Trattato di Roma, che diede forma alla Comunità Economica Europea (Cee) e al Mercato Comune Europeo (Mec). Tuttavia, durante la Seconda Repubblica si verificarono gli avvenimenti che hanno dato forma a quelle dinamiche tra Italia e Unione Europea che oggi ben conosciamo: il Trattato di Maastricht, l’adozione dell’euro come moneta unica e le politiche neoliberiste.

Il trattato di Maastricht e la moneta unica

Nel febbraio del 1992, nella cittadina olandese di Maastricht, si istituì l’Unione Europea unificando i mercati degli Stati nazionali membri e allargando le competenze delle istituzioni comunitarie europee alla ricerca, all’istruzione, alla sanità pubblica e alla tutela dei consumatori. Ciononostante, una politica estera di sicurezza comune, come era già successo nel 1952 con la Comunità Europea di Difesa, non riuscì a sovrapporsi alle politiche nazionali dei singoli Stati membri. L’unificazione dei mercati si concretizzò con la creazione di una moneta comune, l’euro, e di una Banca Centrale Europea (Bce). L’Unione Monetaria comportò, per gli Stati membri, l’adeguamento ai criteri di convergenza, ovvero a una serie di parametri comuni, che avrebbero dovuto garantire la solidità della nuova moneta e la credibilità finanziaria dell’Unione. Nella pratica questi criteri si tradussero in tassi di inflazione contenuti, tassi di interesse uniformi e, soprattutto, un deficit pubblico non superiore al 3% del Pil nazionale e il debito pubblico globale non superiore al 60%.

A causa di tutto ciò, nel 1993, l’Italia, in quello stato di limbo tra Prima e Seconda Repubblica, conobbe per la prima volta nella sua storia le politiche neoliberiste e l’austerità finanziaria che da essa derivò. In quello stesso anno la lira fu svalutata di oltre il 20% e le politiche dei governi agirono mediante un forte taglio della spesa pubblica nei settori della sanità pubblica, delle pensioni e nelle amministrazioni locali. Nello specifico, il governo Amato impose prelievi fiscali sui beni mobiliari e immobiliari, privatizzò alcune grandi imprese pubbliche, ristrutturò la sanità pubblica e riformò drasticamente l’intero sistemo pensionistico italiano.

Nel 1998 venne ufficializzata l’Unione Monetaria Europea (Ume) da parte di undici stati, tra cui l’Italia; rimasero fuori il Regno Unito, la Danimarca e la Svezia, mentre la Grecia, non avendo ancora raggiunto i parametri, vi entrò solamente nel 2011. Dopo quasi un decennio di riforme strutturali, il 1° gennaio del 2002 fu adottato l’euro come moneta unica degli stati aderenti all’unione monetaria.

Negli anni successivi, l’Unione europea si impegno per una Costituzione Europea e l’Italia diede un contributo importante: Prodi ricoprì la carica di presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, Amato quella di vicepresidente della Convenzione Europea e Berlusconi fu presidente di turno del Consiglio Europeo dal luglio al dicembre 2003. Tuttavia, il progetto di una Costituzione unica venne stroncato malamente, anche se molti parlamentari europei, tra cui quelli italiani, la rettificarono tale costituzione: i due referendum contrari della Francia e dei Paesi Bassi furono fatali.

L’Europa neoliberista

Nell’autunno del 2011, l’arrivo della Grande Recessione provocò in Italia un grave crisi economica e politica. A seguito delle dimissioni di Berlusconi dal suo governo, il Presidente della Repubblica Napolitano affidò l’incarico di formare un nuovo esecutivo a Mario Monti, professore di economia e presidente dell’Università Bocconi di Milano nonché conoscitore delle istituzioni comunitarie – rivestì l’incarico di commissario europeo al mercato e alla concorrenza.

Il governo tecnico di Monti, formato da figure scelte in base alle loro competenze, inaugurò una nuova stagione di politiche di austerità all’insegna del neoliberismo: la riforma del sistema pensionistico, che pesava maggiormente sui conti pubblici, alzò la soglia di età per ritirarsi dal lavoro a 67 anni; si assistette a misure di liberalizzazione nelle professioni e nei servizi; aumentò la pressione fiscale, ad esempio reintroducendo l’imposta sulla prima casa abolita dal precedente governo Berlusconi. Il fine ultimo di queste politiche era quello di rilanciare la fiducia nell’affidabilità finanziaria dell’Italia agli occhi del mercato globale, degli investitori e delle società speculative mondiali. L’obiettivo, che fu raggiunto con il “sangue” da tutta la società italiana, fu di contenere il deficit annuo di bilancio sotto il 3%.

Elemento più evidente dello stretto legame tra l’Italia e l’Unione è il fiscal compact, cioè il patto di bilancio, firmato il 2 marzo 2012 dai 25 paesi membri, contenete regole vincolanti per il principio dell’equilibrio di bilancio. Questo patto fu approvato, sotto il governo Monti, in una sola settimana dal Parlamento italiano e, firmato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, divenne legge dello Stato nei quattro giorni successivi la sua approvazione; infine, fu inserito direttamente nella Costituzione agli artt. 81, 97, 117 e 119.

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