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La stagione delle riforme

Dopo il secondo dopoguerra l’apertura dei consumi di massa alimentò l’industria interna, che progressivamente rese sempre più complesso il processo industriale. Tale aumento della complessità della produzione richiese un aumento dell’istruzione dei lavoratori e lo Stato, per fare fronte a questa nuova necessità della società, aumentò il livello della scolarizzazione obbligatoria. Questi due fattori, l’accesso ai consumi da parte degli strati sociali più poveri e il loro progressivo aumento di istruzione, uniti in un sistema politico in cui, grazie al suffragio universale maschile e femminile, tutti i cittadini maggiorenni potevano votare, cambiarono profondamente la società italiana. In questo nuovo quadro, nei primi trent‘anni della storia repubblicana, furono varate le grandi riforme che hanno plasmato la storia della società italiana, fortemente alimentate dal socialismo riformatore, dal femminismo e dai radicali: frutti di questa politica riformista furono l’applicazione effettiva di alcuni istituti previsti dalla Costituzione, l’avanzamento dei diritti sociali, l’emancipazione femminile, la progressiva costruzione di uno Stato laico e la creazione di uno Stato assistenzialista.

Le riforme istituzionali

Durante i primi vent’anni della Repubblica alcune istituzioni, previste dalla Costituzione del 1948, non erano ancora state realizzate. Sotto il governo centro-moderato, nell’aprile 1956, entrò a pieno regime la Corte Costituzionale, con il compito di eliminare dalla legislazione italiana tutte quelle leggi anacronistiche, snellendo e modernizzando il paese; nel marzo 1958 venne poi istituito il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), fondamentale istituzione in un paese che faceva propria la separazione dei poteri perché garantiva ai giudici e ai pubblici ministeri l’autonomia e l’indipendenza dal governo.

Successivamente, verso il tramonto della stagione del centro-sinistra, tra il 1968 e il 1970, si istituirono le Regioni e il 7 giugno dello stesso anno si tennero le prime elezioni: la Dc ottenne la guida di tutte le regioni tranne che dell’Emilia-Romagna, della Toscana e dell’Umbria, nelle quali vinse il Pci; i migliori risultati del Psi furono in Lombardia, Basilicata e Calabria; la presenza più significativa del MSI fu in Lazio, Campagna, Puglia, e Calabria; il PLI ottenne un discreto risultato in Piemonte e Liguria; il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica registrò ben il 2,3% in Campania, mentre l’1,2% nel Lazio e l’1% in Piemonte e Puglia.

Le grandi riforme sociali degli anni ’70

È tuttavia negli anni ’70 che la società italiana si modifica davvero, nel profondo. Le lotte dei “sessantottini” e del movimento operaio, del movimento femminista, degli attivisti concorsero al raggiungimento di traguardi enormi, impensabili fino a pochi anni prima, tanto sul piano dei diritti dei lavoratori quanto, soprattutto, su quello dei diritti civili.

Nel campo dei diritti dei lavoratori, la più grande conquista è stata lo Statuto dei lavoratori, emanato nel 1970, che divenne in materia la fonte normativa più importante dopo la Costituzione perché racchiudeva temi come le norme sulla libertà e dignità dei lavoratori, la libertà sindacale, l’attività sindacale, disposizioni varie e generali, il collocamento, le disposizioni finali e penali.

In quello stesso anno, il 1970, venne introdotta la legge Fortuna-Baslini che legalizzò per la prima volta in Italia il divorzio – legge che sopravvisse al referendum abrogativo indetto nel maggio 1974. Questo fu un primo passo verso la secolarizzazione della società e il distacco degli italiani dai precetti morali della Chiesa romana cattolica.

Un ulteriore passo verso la formazione reale di uno Stato laico si compì quando venne pubblicata in Gazzetta Ufficiale – diventando dunque legge dello Stato – la legge 22 maggio 1978, n. 194, che abrogava gli artt. 545 e 555 del Codice penale in materia di interruzione volontaria della gravidanza. Una legge, questa, che ha diviso la società dell’epoca e ha portato a un immediato tentativo di abrogazione, il 17 maggio 1981, tramite referendum: il 68% degli italiani, guidati dal Partito Radicale, si espressero con il “no”, affermando di voler mantenere la legge 194 sull’interruzione di gravidanza.

Riguardo alla libertà delle donne, tra 1968 e 1969 la Corte Costituzionale abrogò l’articolo del Codice penale che puniva l’adulterio delle donne e non quello dell’uomo: questo fu un altro passaggio fondamentale per l’emancipazione femminile, perché probabilmente ha segnato l’inizio del pur timido percorso verso l’assunzione del ruolo paritario che le spetta all’interno della società. Nel 1975 venne poi riconosciuta la parità tra i coniugi, nel 1977 si introdusse il pari trattamento nel lavoro tra uomini e donne e, infine, nel 1981 si abolì dal Codice penale il delitto d’onore, principalmente riferito agli uomini, che prevedeva notevoli riduzioni di pena in caso di delitti commessi per difendere il proprio onore o quello della propria famiglia.

La creazione di uno Stato assistenzialista avvenne nel 1978 con l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), istituzione che realizzò il diritto alla salute conformemente ai principi costituzionali. Il SSN perseguì obiettivi eterogenei come l’educazione civile sanitaria, la prevenzione e la cura delle malattie e degli infortuni, l’igiene dell’ambiente del lavoro, l’igiene degli alimenti e la loro prevenzione, la difesa sanitaria degli allevamenti dell’industria alimentare, la certificazione della creazione dei farmaci, la formazione professionale del personale del servizio sanitario nazionale. Le Regioni rivestirono un ruolo centrale nelle procedure di fornitura dell’assistenza sanitaria, che iniziò a essere erogata direttamente da strutture pubbliche o da strutture private convenzionate rispettando i requisiti previsti dalla legge. L’articolazione organizzativa a livello territoriale venne realizzata attraverso le Aziende Sanitarie Locali (ASL) e le Unità Sanitarie Locali (USL).

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