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La stagione del centro-sinistra

In Italia il venire a crearsi negli anni ’60 di una società industriale si accompagnò all’ingresso dei socialisti nell’area di governo. Si arrivò a questo punto in quanto, dalla fine degli anni ’50, il Psi si distaccò progressivamente dal Pci: i socialisti italiani non rinunciarono alla volontà di trasformare radicalmente la società ma fu presa ufficialmente la linea politico riformista, a differenza dei comunisti che furono sempre sospettati di aspettare il momento giusto per scatenare la rivoluzione, sostenuti dal URSS.

La svolta del centro-sinistra non fu un avvenimento traumatico in quanto non nacque da una improvvisa vittoria elettorale della sinistra, bensì da una scelta guidata dai dirigenti dei partiti della Dc e del Psi. Questa nuova stagione, nella sua prima fase, suscitò sia molte speranze per un rinnovamento progressista della società, sia molti timori da parte dell’opinione pubblica più conservatrice-moderata, sia forti critiche da parte della sinistra più radicale rimasta fedele ai comunisti. La fine di questa stagione avvenne con l’autunno caldo del 1969, che si caratterizzò per un isolamento sempre più marcato del Pci – che godeva ancora di più del 25% dei voti – e per un cambiamento del clima politico, dovuto all’aumento della conflittualità politica e sindacale e all’inizio del terrorismo.

Il programma e le riforme

Il programma del centro-sinistra prevedeva riforme sociali come la realizzazione dell’obbligo della scolarizzazione della scuola media e l’attuazione delle Regioni previste dalla Costituzione del 1948. In particolare, i socialisti furono a favore di una pressione fiscale nominativa sui titoli azionari e la nazionalizzazione dell’industria elettrica. Il fine era quello di ridurre le disuguaglianze crescenti nella società italiana e il divario fra Nord e Sud potenziando gli strumenti dell’intervento statale sull’economia. Per fare questo, l’ala più riformista del centro-sinistra puntò a introdurre dei correttivi al capitalismo italiano attuando una programmazione economica che prevedesse l’intervento statale sull’economia.

La nazionalizzazione dell’industria elettrica fu portata a termine nel novembre 1962, fra molte difficoltà, con l’istituzione dell’Ente nazionale per l’Energia Elettrica (Enel). Nel dicembre dello stesso anno fu approvata la legge che introduceva una scuola media unica obbligatoria, abolendo gli istituiti di avviamento professionale cui fino ad allora erano destinati coloro che dopo il percorso delle elementari non avevano la possibilità di continuare gli studi. La nuova tassazione dei titoli azionari ebbe vita breve in quanto venne modificata già nel 1964 a causa da una fase di crollo in borsa e della fuga all’estero dei capitali.

La programmazione economica, voluta dall’ala più progressista del centro-sinistra, non venne mai completata a causa del contrasto sia all’interno dello stesso centro-sinistra, sia dei sindacati, sia delle altre forze politiche nel Parlamento. In particolare, all’interno dell’alleanza di governo i socialisti privilegiavano gli investimenti e la spesa sociale, mentre i repubblicani proponevano un controllo della dinamica salariale per gestire la crescita produttiva e contenere l’inflazione.

I governi del centro-sinistra

Il primo atto del centro-sinistra fu il III governo Fanfani (1960-62), nel quale i socialisti non ebbero alcuno ministero ma appoggiarono lo stesso il potere esecutivo avendo concordato un programma comune. I contrasti della maggioranza di questo governo furono evidenti nelle elezioni del 1963, quando sia la Dc che il Psi persero voti in favore dei liberali, che si erano apertamente opposti a tale svolta politica, e dei comunisti; proprio l’aumento dei consensi di quest’ultimo partito accentuò la tensione interna alla Dc e alimentò le divisioni interne al Psi.

Il processo riformatore fu bloccato dai primi segni del manifestarsi di una crisi economica. Quella che si trovò di fronte il primo governo Moro (1963-64) era un’Italia che cominciava a subire una battuta d’arresto del proprio miracolo economico: l’aumento del costo del lavoro fece venire a mancare le condizioni iniziali del boom perché diminuirono le esportazioni e, allo stesso tempo, i prezzi del mercato incrementarono; parallelamente si ampliò il fenomeno delle fughe di capitali all’estero, generato dalla preoccupazione di molti risparmiatori per l’entrata al governo dei socialisti, e aumentarono progressivamente le importazioni. Per far fronte a questa situazione, e ai relativi problemi economici, Moro dovette contrarre un prestito con gli USA di circa 1,225 miliardi di dollari.

Una forte opposizione al centro-sinistra avvenne anche dalle alte gerarchie militari: nell’estate del 1964 si diffusero voci nell’opinione pubblica di un progetto di colpo di Stato da parte dei servizi segreti e delle forze armate, quello che passò alla storia come il “Piano Solo”, il tentativo di golpe organizzato dal generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo con l’approvazione dell’allora Presidente della Repubblica Antonio Segni.

Tuttavia, la crisi della coalizione di governo maturò anche dentro le varie correnti della Dc che furono tenute unite dall’operato di Moro. Il Psi pagò a caro prezzo la partecipazione al governo quando, nel gennaio del 1964, una minoranza che non voleva rinunciare all’alleanza con il Pci fondò il Partito Socialista di Unità proletaria (Psiup). Il Psi che rimase in piedi si divise tra chi sosteneva le riforme per modificare il sistema economico-sociale e chi, invece, era a favore di una modifica degli equilibri politici.

Un’ulteriore stagione delle politiche di centro-sinistra entrerà nel vivo più di un decennio dopo, grazie al lavoro di due personaggi fondamentali ed emblematici della storia della nostra repubblica: il presidente della Dc, Aldo Moro, e il segretario del Pci, Enrico Berlinguer. Una stagione che prese il nome di “compromesso storico” e che durò poco, perché cadde sotto il piombo delle Brigate Rosse in quel tragico martedì 9 maggio 1978.

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