La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Oggi, 25 novembre, è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Un fenomeno che assume molte sfaccettature e forme, e che in Italia presenta numeri ancora preoccupanti.

Guglielmina e Vera. Sono i nomi della prima e dell’ultima donna uccise dal 1° gennaio al 20 novembre 2022. Nel mezzo Lidija e Stefania, Malika e Alessandra, Fatima, Silvia, Slobodanka, Alexandra Angela e la figlia Alessia. Sono 104 le vite di donne spezzate quest’anno, 7 solo la scorsa settimana.

Un «fenomeno sociale strutturale con radici culturali profonde […] alimentato e determinato dalla disparità nei rapporti di forza tra uomini e donne»: così la Relazione della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, nelle Linee programmatiche del suo operato, definisce la violenza di genere in Italia.

Un fenomeno drammatico, che in Italia, oltretutto, ha conosciuto una recrudescenza durante il lockdown della primavera 2020. E non bisogna fare l’errore di confonderlo con atti di violenza generica, perché la violenza di genere è peculiare, contiene in sé un marchio d’infamia: quello di essere «una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini», e di rivolgersi in modo specifico verso il genere femminile per mantenerle «in una posizione subordinata rispetto agli uomini», come recita la Convenzione di Istanbul (2011).

Proprio sui principi della Convenzione di Istanbul si fonda la legislazione italiana in merito alla violenza specifica contro le donne.

Il quadro normativo

L’Italia, nella sua storia repubblicana, si è dotata di tutta una serie di leggi per combattere il fenomeno della violenza contro le donne. Le prime, varate alla metà degli anni ‘90, erano più generali, cioè stabilivano sanzioni anche per i casi di violenza contro le donne. Ad esempio, la legge 15 febbraio 1996, n. 66 introdusse i fondamentali articoli del Codice penale che sanzionano tuttora la violenza sessuale (artt. 609 bis-decies), mentre la legge 4 aprile 2001, n. 154 legifera in materia di protezione contro gli abusi familiari e allontanamento dalla casa familiare.

La prima norma specifica atta a proteggere il genere femminile è la legge 9 gennaio 2006, n.7, che aveva lo scopo di «prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine», e per tale motivo introduceva nel Codice penale l’art. 583-bis.

Ma il passaggio fondamentale nel riconoscere la violenza di genere come reato specifico è il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119: è la cosiddetta “legge sul femminicidio”, introdotta per contrastare «il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne» e finalizzata all’«anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica».

Infine, in ordine cronologico, l’ultima norma specifica per le violenze di genere nell’ordinamento italiano è la legge 19 luglio 2019, n. 69, conosciuta come “Codice rosso”. Essa ha modificato il Codice penale e il codice di procedura penale, introducendo, ad esempio, il reato di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis), di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies), di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti – il revenge porn – (art. 612-ter).

Purtroppo, manca ancora in Italia una legge che punisca il femminicidio in quanto tale. Anche perché l’ordinamento italiano ha recepito, in tutte le loro gravità, le indicazioni della Convenzione di Istanbul, che definiscono la violenza contro le donne una «violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne» e la violenza di genere una «violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato».

Reati spia e femminicidi

La varietà di comportamenti che il Codice penale punisce rispecchia i molti e diversi modi in cui la violenza nei confronti delle donne si esprime. Una molteplicità e una diffusione che si legge nei dati Istat. Si stima, infatti, che in Italia siano 6.788.000 le donne che hanno subito «nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale»: il 31,5% nella fascia d’età 16-70 anni, una donna su tre. Il numero, dunque, è parziale, perché non tiene conto delle vittime in età infantile e anziane.

Il report Il pregiudizio e la violenza contro le donne della Direzione Centrale della Polizia Criminale chiama «reati spia» tutti «quei delitti che sono indicatori di una violenza di genere, in quanto potenziale e verosimile espressione di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica diretta contro una donna in quanto tale». E, sempre seguendo i dati Istat, i numeri riguardanti l’Italia sono impietosi: 4 milioni 353 mila donne hanno subito violenze fisiche, 4 milioni e mezzo violenze sessuali, di cui più di un milione uno stupro o un tentato stupro.

Ma non bisogna credere che la violenza nei confronti delle donne si esplichi solo in violenze sessuali. Sono molte le donne che subiscono minacce, che vengono spintonate, picchiate, colpite, che vengono ricattate sul luogo di lavoro, che vengono seguite, perseguitate, che subiscono violenze psicologiche ed economiche.

Che sono schiave dei propri partner (attuali o passati) e da essi subiscono violenze. Sempre l’Istat calcola che «le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici», soprattutto stupri o tentati stupri e violenze fisiche. Vedere scritti nero su bianco questi dati sconvolge, e lo fa ancor di più leggere gli autori di questi crimini: conoscenti, familiari, amici, compagni. Persone in cui si ripone fiducia, che dovrebbero proteggere. E invece si rivelano essere i primi carnefici.

Il femminicidio, dunque, è solo la tragica, insanguinata punta dell’iceberg del fenomeno della violenza di genere. Le sequenze storiche Istat mostrano che, dal 1992, il numero di omicidi volontari sia in generale diminuito nel nostro Paese, ma non per quanto riguarda i femminicidi, il cui tasso è rimasto stabile negli anni (attorno a 0,5 omicidi di donne ogni 100.000 abitanti dello stesso sesso). E gli autori sono, per oltre il 90% dei casi, uomini, e per circa l’80% persone conosciute.

Sembrerebbe allora avere ragione il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, quando afferma che quella dei femminicidi «non è una questione di donne, ma di noi uomini». E su questo punto c’è una concordanza da parte di chiunque abbia osservato e studiato il fenomeno: istituzioni, organi sovranazionali, studiosi, intellettuali. La speranza, allora, è che a tale consapevolezza corrispondano fatti: una continua precisazione in ambito normativo, percorsi educativi nelle scuole, divulgazione scientifica, campagne di sensibilizzazione.

Allora, la palla passa al governo.

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Matteo Machet
Ho 31 anni e vivo a Torino, città in cui sono nato e cresciuto. Sono profondamente affascinato dal passato, tanto da prendere una laurea in storia - ambito in cui mi sto anche specializzando. Amo leggere, la cucina e la Sicilia, ma tra i miei vari interessi svetta il giornalismo: per questo scrivo articoli di storia, politica e attualità.

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